Ventidue arresti, in cella anche un agente e due carabinieri.

Edizione CIRC_SU1

17/04/2008

Ventidue arresti, in cella anche un agente e due carabinieri. Pizzo ai clan per avere il permesso di rapinare banche

imagesCA6VA8NE.jpgLEANDRO DEL GAUDIO È stata una lunga, estenuante, partita a scacchi tra la polizia e la banda del buco. Una partita giocata tra bassi e cunicoli fognari, con lunghi appostamenti notturni e blitz improvvisi per salvare il caveau di turno. Alla fine, dopo sette mesi di indagini, per gli uomini talpa scattano le manette: 22 decreti di fermo al culmine dell’inchiesta del capo della Mobile Vittorio Pisani e del pool antirapina di Massimo Sacco. Ci sono due carabinieri, un poliziotto, due vigilantes, un ex funzionario del servizio fognature del Comune, donne con il ruolo di comparse, ma anche tombaroli e professionisti del crimine sotterraneo. Nella gang anche un tecnico del settore telecomunicazioni (Giuseppe De Sio) e un esperto di servizi di sicurezza (Pasquale Levano), pronto a tranciare i cavi della rete telefonica collegata con Questura e centri di vigilanza. In cella una banda di professionisti delle rapine in banca, guidata dal presunto capo Luigi Petrone. A finire in manette due marescialli dell’Arma, Francesco Cangiano e Arturo Lametta, uno al Radiomobile, l’altro al servizio scorta della nato; l’agente di polizia Gianluca Romano; due GUARDIE GIURATE, Ciro Rea e Pasquale Ventriglia. Divise sporche, secondo gli inquirenti, che avrebbero incassato fino a mille euro a colpo: avrebbero fatto da «palo», quando occorreva segnalare l’arrivo di polizia e carabinieri; ma anche da probabili custodi della refurtiva. Innocenti fino a prova contraria, dovranno rispondere alle accuse nella convalida del fermo di domani mattina. In manette anche due donne – Concetta Filace e Claudia Napolitano – usate come «attrici» all’esterno delle banche. Una banda di professionisti, dunque, che ha dato per mesi filo da torcere alla polizia, nella quale spicca il ruolo del «tombarolo», Salvatore Oliva, ex caposquadra addetto alle fognature per il Comune di Napoli prima di essere licenziato sotto i colpi di una precedente inchiesta. Oliva fu infatti indagato (per poi essere prosciolto) nell’inchiesta sulla colossale rapina al Banco di Napoli del 1989, nella quale venne trafugato dagli uomini talpa il pallone d’oro vinto da Maradona. Era lui Salvatore Oliva, padre di un presunto camorrista dei Quartieri Spagnoli, l’eminenza grigia. Due i bassi utilizzati come base logistica, uno in via Donnalbina, l’altro in piazza Vico. Turni massacranti per tutti. Appuntamento alle 24: si entra uno alla volta a distanza di 15 minuti. Via i vestiti, indosso tute, guanti e passamontagna, e giù a scavare per tutta la notte. Negli ultimi mesi, i tentati assalti alle banche Credem di via San Carlo, alla Antonveneta interna alla Galleria Umberto (visitata per ben tre volte), alla Popolare di Ancona di via Santa Brigida, al Banco di Napoli di piazza Vico. Colpi falliti per un soffio, che avrebbero fruttato un bottino di centinaia di milioni di euro. Colpi subappaltati dalla camorra, che ha preteso una tangente per ogni rapina, fino ad imporre un proprio uomo (Saverio Nappo, nipote del boss Vincenzo Licciardi) come garante del clan.

Ventidue arresti, in cella anche un agente e due carabinieri.ultima modifica: 2008-04-18T12:15:00+02:00da sagittario290