Alla figlia diceva: «Non farai la mia fine»

Sabato 8 Dicembre 2007

Alla figlia diceva:
«Non farai la mia fine»

dal nostro inviato
Renato Pezzini

TORINO (8 dicembre) – Il tempo che passa porta solo cattive notizie e dilata la paura. Da due giorni, di fronte alla fabbrica, stazionano gli operai in un presidio spontaneo che sta inesorabilmente diventando un’attesa di morte. Alle 6 della sera squilla il cellulare di uno di loro. Telefonata breve: «E’ morto anche Angelo Laurino». All’alba se n’era andato pure Roberto Scola. Le vittime dell’incendio adesso sono quattro, il ”grave incidente” sta diventando un’ecatombe, e non c’è uno straccio di buona notizia che riesca a fare breccia in questa attesa cupa perché anche Giuseppe, Rocco, Rosario – gli altri tre ustionati – sono messi malissimo: «I medici danno pochissime speranze».

C’è chi piange davanti ai cancelli sorvegliati dai vigilantes che a loro volta hanno sguardi bassi e nessuna voglia di star lì. Ci sono lacrime di dolore e di rabbia, denti che si stringono in un impeto di ira e insieme di impotenza. Si accavallano ricordi delicati di chi fino all’altro ieri era in ”linea”, magari allegro nonostante tutto, e adesso non c’è più. Roberto Scola, per esempio, che aveva 32 anni ed era entrato in fabbrica nel 2001. Un tipo silenzioso che improvvisamente – qualche anno fa – aveva dato spettacolo trasformandosi in un ragazzo gioviale: «Aveva conosciuto un’albanese più giovane di lui» racconta Aldo, compagno di lavoro e soprattutto amico. «Si erano sposati, avevano avuto prima un figlio, poi un altro che adesso ha 17 mesi». Buone ragioni per cambiare umore, ma anche per prendere tutti gli strordinari che c’erano da prendere, per fare il maggior numero di turni festivi o notturni, quelli pagati di più, «perché sua moglie non lavora e tirare avanti è una pena».

Di Angelo Laurino – il secondo morto di giornata – parlano come di un ”anziano” anche se aveva solo 43 anni. Era entrato in acciaieria nel 1995. Un veterano, insomma: «Aveva una figlia di 14 anni, Noemi, e ci diceva sempre che era disposto a tutto pur di non farle fare la vita che ha fatto lui…». La figlia adesso sta all’ospedale, ed è li quando i medici escono dal reparto e le dicono che il padre non ce l’ha fatta.

Anche chi sta qui, sotto i fari gialli che accolgono i visitatori dello stabilimento, ha l’aria disfatta di chi non ce la fa più. I più giovani parlano e accusano e puntano il dito e imprecano e si sentono come chi è all’inizio di una battaglia che deve essere combattuta e deve essere vinta, ad ogni costo. I più anziani preferiscono il silenzio come se il tempo passato, l’averne viste ”di tutti i colori”, avesse steso uno strato di disillusione rassegnata su tutto ciò che potrebbe essere meglio e non lo è, non lo sarà: «Tanto non cambierà mai niente. Adesso tutti urlano, invocano giustizia. Hanno scoperto il problema della ”sicurezza sul lavoro”. Dopo i funerali nessuno se ne ricorderà più».

Il comitato di fabbrica – che adesso si chiama Rsu – in mattinata ha incontrato i dirigenti della ThyssenKrupp. I delegati ne sono usciti con molta amarezza e qualche asprezza in più del prevedibile: «Abbiamo chiesto di riaprire la fabbrica solo dopo una verifica completa sui sistemi di sicurezza» racconta Fabio Argentino. «Ci hanno risposto che ci faranno sapere». Scontati i commenti, perfino ovvii nel loro crudo realismo: «Ci faranno sapere cosa? Se possiamo continuare a lavorare così? Certo, tanto a morire siamo noi, non sono mica loro».

Arrivano i magistrati, gli ispettori del lavoro, i carabinieri, i funzionari della Asl. I cancelli per loro si aprono, vanno alla linea 5 a fare rilievi e controlli, a studiare la ”scena del disastro”. E dopo un po’ arriva anche un furgone bianco con le scritte rosse. Ma prima che i vigilantes lo facciano passare, sono gli operai a bloccarlo. Il camioncino porta degli estintori nuovi: «Prima chiamiamo i carabinieri, e poi ti facciamo entrare», dicono tre ragazzi all’autista. I carabinieri? E perché mai? «Perché se l’azienda sta cercando di sostituire gli estintori che non funzionano con questi, i carabinieri lo devono sapere. Che non provino a far credere, insomma, che tutto era a posto…».

I carabinieri tardano ad arrivare. E così dopo mezz’ora il furgone fa dietro front e se ne torna da dove era arrivato, con tutti gli estintori ancora nel cassone: «Almeno questa è fatta», dicono i tre che ci hanno messo più veemenza nel bloccarlo. In una giornata così, sembra quasi una piccola vittoria. L’unica.

Alla figlia diceva: «Non farai la mia fine»ultima modifica: 2007-12-09T11:25:00+01:00da sagittario290