“Qui 112, rimanga in attesa”, le mie tre inutili chiamate in un mese

Cronaca

09 agosto 2017

“Qui 112, rimanga in attesa”, le mie tre inutili chiamate in un mese

Tre episodi – per fortuna non drammatici come quello segnalato da Valentina Ruggiu – danno il quadro del caos (almeno a Roma) per chi chiama il numero di emergenza. In questo caso per un incendio, un allarme sanitario, la segnalazione di un conflitto a fuoco in strada

di CLAUDIO GERINO

“Rimanga in attesa”. Ho vissuto – anche se in circostanze sicuramente meno drammatiche e tragiche – l’esperienza sconvolgente di Valentina. Per ben tre volte, nell’ultimo mese. Il Nue, numero unico per le emergenze, il 112, evidentemente non funziona come dovrebbe essere una linea telefonica H24 dedicata appunto a tutte le emergenze possibili. E con la necessaria rapidità d’intervento adeguata all’emergenza che viene segnalata. Perché è così, qualcuno dovrebbe spiegarlo, che si dovrebbe rispondere a tutti quegli utenti che – come Valentina – si sono rivolti al 112 sicuri di avere un aiuto immediato.

Primo episodio. In una di queste caldissime mattine d’agosto, stavo andando al lavoro in auto, sulla via del Mare da Ostia a Garbatella. All’altezza di Vitinia (per chi non conosce Roma e la periferia, basta spiegare che è più o meno vicino a dove dovrebbe sorgere il nuovo stadio della Roma), vedo sul ciglio della strada le fiamme che stanno divorando la fitta boscaglia che circonda l’arteria a grande scorrimento. Fiamme alte, fumo che rende anche pericoloso il passare in auto, per la scarsa visibilità. Telefono cellulare, vivavoce, chiamo il 115, il numero dei vigili del fuoco. Automaticamente, la telefonata viene inoltrata al 112, numero unico d’emergenza. E comincia l’attesa. Voce registrata, varie lingue, resto in attesa. Intanto proseguo il viaggio verso il lavoro. Da casa mia a Garbatella, se non è l’ora di punta, ci vogliono un venti-trenta minuti per arrivare. “Rimanga in attesa”. Arrivo al lavoro, parcheggio la macchina e sono ancora in attesa. Entro al lavoro e attendo ancora. 35-40 minuti circa. Alla fine, miracolo, risponde un operatore. A cui spiego ciò che ho visto, cosa stava succedendo e quando. “Resti in attesa, le passo i vigili del fuoco”. Altra attesa, pochi minuti per fortuna, e finalmente parlo con qualcuno “competente” per l’eventuale intervento. Segnalo l’incendio, mi risponde che sì, anche altri erano riusciti a superare il “rimanga in attesa” e avevano fatto analoga segnalazione. E che una squadra di vigili del fuoco si stava recando sul posto o forse era già lì. Bene. Ho fatto il mio dovere di cittadino, sperando che quella lunga attesa non abbia prodotto danni gravi, che nessuno sia rimasto coinvolto dalle fiamme e dal fumo, che non ci siano stati incidenti stradali dovuti alla scarsa visibilità. Dimenticavo: uno degli avvertimenti registrati in quel “rimanga in attesa” era “non riagganci, se no siamo costretti a richiamare il suo numero”. E’ andata bene, tornando a casa vedo che sono andati in fumo solo un po’ di alberi, un vecchio canile per fortuna abbandonato da tempo (anzi posto sotto sequestro per irregolarità) e tanta sterpaglia. Ma c’è ancora fumo, sono passate otto ore da quel primo “resti in attesa”.

Secondo episodio. Questo è ben più grave. Di notte, verso l’una, si sentono intorno casa colpi d’arma da fuoco, spari ripetuti. A distanza di una decina di minuti l’uno dall’altro, da direzioni diverse. Si sente anche qualcuno correre. Ancora una volta provo a chiamare direttamente il 113, la polizia, ma vengo dirottato sul numero unico d’emergenza. E ricomincia l’attesa. Vicino a casa mia c’è anche la linea metropolitana Ostia-Lido/Roma, quei colpi sembrano provenire da quella parte, lungo la massicciata ferroviaria. 25 minuti di attesa prima di una risposta. L’operatore sembra cadere dalle nuvole su cosa fare. Mi dice, ad un certo punto, “la metto in contatto con i vigili urbani”. Io protesto, dico che se quelli che sento sono effettivamente colpi d’arma da fuoco, forse è il caso che la mia telefonata venga dirottata a carabinieri o polizia. L’operatore sembra dubbioso, non sa prendere una decisione. Intanto passano i minuti e si continuano a sentire, sporadici, altri colpi. Alla fine mi collega al 113, la polizia. E alla fine posso spiegare cosa sta accadendo, o perlomeno quello che presumibilmente penso sta succedendo, a qualcuno che ha potere d’intervento. Ma passa un’altra mezz’ora prima che arrivino le “volanti”. So bene quante poche siano in servizio di notte e quanti interventi i poliziotti devono fare. Nonostante questo, ne arrivano 4 e subito – anche perché gli agenti sentono anche loro “in diretta” i colpi – si mettono a caccia di chi li sta esplodendo. Scacciacani, revolver vero, qualcuno che si divertiva a sparare in aria, non lo saprò mai. Gli agenti inseguono una persona in fuga verso la ferrovia metropolitana, ma lo perdono di vista. Girano con le auto, si allontanano e poi ritornano una ventina di minuti dopo. Non riuscendo però a individuare gli autori o l’autore degli spari, vanno giustamente a fare altri interventi.

Non è stata una rapina, non è stato uno dei tanti femminicidi che ormai siamo abituati purtroppo a leggere sulle cronache. Ma se fosse stato uno di questi casi? 25 minuti di attesa solo per parlare con un operatore e altrettanti, alla fine, per comunicare con chi poteva intervenire realmente sono francamente troppi. Anche per un possibile falso allarme, per qualcosa che comunque non aveva le stesse tragiche dimensioni vissute da Valentina.

Terzo episodio. La faccio brevissima, perché memore delle esperienze precedenti, alla fine ho saltato tutti i passaggi. Mio figlio, per un banale incidente casalingo, si procura una leggera lesione alla cornea. Dolorosa, fastidiosa e problematica. Anche in questo caso, il primo istinto è chiamare il 118, la Guardia Medica, perlomeno per farsi indicare dove portarlo eventualmente per un controllo urgente. Per sapere quale ospedale della zona ha un pronto soccorso oftalmico. Il 118 però viene prima dirottato sul Nue, il 112. Che ripete per una quindicina di minuti, “rimanga in attesa”, sempre in tutte le lingue. Riaggancio, lascio perdere, vado su Internet e cerco un’oculista che faccia pronto soccorso. Ovviamente a pagamento. Lo trovo, lo chiamo e alla fine fisso un appuntamento per un’ora dopo. Problema risolto, potendo pagare però 110 euro per una visita privata, accuratissima e completa, ma comunque privata. La lesione alla cornea di mio figlio è curata. Particolare non secondario: nonostante quel quasi minaccioso avvertimento – “Non riagganci se no la dobbiamo richiamare – nessuno mi ha mai richiamato per chiedere qual era il tipo di emergenza per cui mi ero rivolto al 112.

Ora in casa ho affisso vicino al telefono tutti i numeri di ambulanze private (per le emergenze mediche), quelli dei centri di diagnostica privata della zona e qualche altro numero di cellulare di medici a cui rivolgermi se avessi un problema sanitario serio. E per possibili tentativi di intrusione nella mia casa da parte di malintenzionati, ho stipulato un contratto con un’agenzia di vigilanza privata collegata con un sistema d’allarme e una centrale operativa che opera H24 (e che, devo dire, risponde subito). Una spesa, certo. Ma in qualche modo obbligata e dettata da queste esperienze. Ah, tra l’altro, l’agenzia di vigilanza non fa solo “protezione antifurto e rapina”, ma si collega anche a guardie mediche private, se ce ne fosse bisogno.

Ma per incendi, rapine, aggressioni o qualche altra emergenza di questo tipo che non avvengono in casa o nei dintorni dovrò sempre rivolgermi al Nue, al 112. Sperando che quel “resti in attesa” non si dimostri purtroppo talmente lungo da rendere inutile poi l’eventuale intervento, come ha vissuto drammaticamente sulla sua pelle Valentina.

http://www.repubblica.it/cronaca/2017/08/09/news/112_nue-172681694/

“Qui 112, rimanga in attesa”, le mie tre inutili chiamate in un meseultima modifica: 2017-08-10T11:45:19+02:00da sagittario290

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