Vigilante blocca un ladro, si al risarcimento per la lesione alla spalla

Il parere degli esperti

4 marzo 2021

Vigilante blocca un ladro, si al risarcimento per la lesione alla spalla

Il datore di lavoro viene condannato a risarcire il danno differenziale da infortunio sul lavoro del Vigilante poiché ha difettato nella predisposizione del personale di supporto (Tribunale di Milano, Sentenza n. 438/2021 del 25/02/2021 RG n. 4709/2019)

Di Redazione

Il Vigilante cita a giudizio il suo datore di lavoro onde vedersi riconosciuto l’infortunio sul lavoro (lesione alla spalla e al braccio) causato dall’aggressione di un ladro all’interno del supermercato.

Si costituisce in giudizio il datore di lavoro e rimane contumace la società committente dell’appalto di sicurezza e la causa viene istruita con CTU Medico-Legale.

Il ricorrente è dipendente da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari – Sezione Servizi Fiduciarie, con mansioni di “addetto all’attività per la custodia, sorveglianza e fruizione di siti ed immobili, controllo accessi, regolazione flusso di persone e merci, controllo ed attività di safety in occasione di manifestazioni ed eventi”.

Lo stesso deduce di aver svolto mansioni di addetto alla sicurezza, come risulta anche dalle dichiarazioni rese nell’ambito del procedimento penale instaurato a seguito dell’infortunio.

In particolare, uno dei testi, cassiere del Supermercato ove è avvenuto l’infortunio, ha dichiarato che il ricorrente era la “guardia” nonché “l’addetto alla sicurezza per l’antitaccheggio” .

Il ricorrente, all’epoca del fatto, svolgeva le proprie mansioni di addetto alla sicurezza presso un Supermercato.

In data 13.02.2017 alle ore 18.15/18.20 un uomo entrava nel punto vendita e, dopo aver girato per i vari reparti, riponeva diversi oggetti nel cestino per poi appartarsi e mettere gli oggetti dentro la propria borsa; tale individuo si avviava poi verso l’uscita senza passare dalle casse e faceva attivare il dispositivo antitaccheggio.

Il ricorrente avvisava immediatamente il Responsabile del punto vendita che gli diceva “va bene fermalo”.

Il ricorrente invitava, quindi, il soggetto ad aprire la borsa ma quest’ultimo si rifiutava: interveniva allora il Responsabile, ma il soggetto continuava a rifiutarsi di aprire la borsa e per tale ragione venivano chiamati i Carabinieri.

Mentre sorvegliava il soggetto in attesa dell’arrivo dei Carabinieri, lo stesso cercava di fuggire e spingeva con forza il Vigilante, facendolo sbattere contro uno scaffale e provocandogli una lesione alla spalla destra.

In particolare, il ricorrente, nel tentativo di bloccare il malintenzionato , riportava una lesione alla spalla destra in quanto il suo braccio rimaneva impigliato nella cintura della borsa a tracolla del soggetto, la cui spinta violenta gli cagionava la rottura del tendine.

Tale dinamica, è stata confermata nel procedimento penale conclusosi con sentenza n. 10399 del 25/10/2017 con la quale è stata accertata la responsabilità del soggetto per i reati di cui agli articoli 56, 628 comma 2 c.p. e 582 c.p. uniti dal vincolo del la continuazione.

Il Tribunale osserva che, vertendosi in materia di responsabilità contrattuale, il lavoratore che agisce per il risarcimento del danno ha solo l’onere di provare l’inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno e non è onerato dal provare la colpa del datore di lavoro nei cui confronti opera la presunzione di cui all’art. 1218 c.c..

Il superamento della presunzione di colpa in capo al datore di lavoro, comporta la prova di aver adottato tutte le cautele necessarie per evitare il danno, in relazione alle specificità del caso ossia al tipo di operazione effettuata e ai rischi intrinseci alla stessa.

Nello specifico, il datore ha l’onere di provare di avere adempiuto alle disposizioni di cui al Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro n. 81/2008 le quali costituiscono specificazione del più generale obbligo gravante sul medesimo ex art. 2087 c.c..

Ebbene, nel caso in analisi devono ritenersi responsabili dell’infortunio occorso al lavoratore sia il datore di lavoro, sia la committente rimasta contumace.

Quest’ultima, non costituendosi in giudizio e non introducendo elementi volti a paralizzare le allegazioni del ricorrente non ha fornito la prova dell’adozione di misure volte a prevenire l’infortunio e deve quindi essere ritenuta responsabile dei danni occorsi al lavoratore .

Il datore di lavoro sostiene, invece, che l’infortunio è dipeso dal comportamento del lavoratore che avrebbe compiuto un atto non previsto dalle sue mansioni.

In particolare, sempre secondo il datore di lavoro, il vigilante avrebbe dovuto occuparsi di indagini e investigazioni commerciali volte a individuare le cause di eventuali ammanchi nel punto vendita, senza alcuna facoltà di intervento diretto in caso di furti.

Allo scopo, viene richiamato il mansionario che prevede l’obbligo di segnalazione e di intervento solo in caso di necessità in condizioni di assoluta sicurezza per la propria e altrui incolumità.

Ciò posto, il Tribunale rammenta il principio secondo cui, in punto di responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al lavoratore , “non si può invocare l’interruzione del nesso di causalità facendo riferimento a condotte del lavoratore solo perché queste risultino ‘eccentriche’ o ‘non corrette’ rispetto alle mansioni tipiche. Ciò in quanto le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l’area del rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l’instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli ” .

Al ricorrente era consentito intervenire in caso di necessità, sebbene senza rischi per la incolumità propria o altrui, e ciò non si traduce in un comportamento eccentrico o abnorme.

Oltretutto, è senz’altro prevedibile che l’addetto al controllo antitaccheggio si trovi a fronteggiare eventi del tipo di quello verificatosi in concreto.

Ed ancora, osserva il Giudice, non può non attribuirsi rilievo al fatto che nel Supermercato non vi fosse un soggetto deputato a una sorveglianza attiva, che, di fatto, veniva demandata al ricorrente.

Ebbene, queste mancanze organizzative, sono imputabili sia al datore di lavoro che alla committente e configurano per entrambi la responsabilità per l’infortunio subito dal ricorrente.

Venendo alla liquidazione del danno subito dal lavoratore la CTU ha concluso che: “Nel complesso considerato l’evento in questione ha comportato un danno biologico di natura temporanea quantificabile nel seguente modo: giorni 1 (uno) di inabilità temporanea assoluta, giorni 40 (quaranta) di inabilità temporanea parziale al 75%, giorni 45 (quarantacinque) di inabilità temporan ea parziale al 50%, giorni 90 (novanta) di inabilità temporanea parziale al 25%. Quanto agli esiti permanenti gli stessi, avuto riguardo a quanto suggerito ed indicato dalle comuni fonti bibliografiche utilizzate per prassi in ambito medico – legale ( …), può essere valutato in misura pari al 10% (dieci per cento) . I suddetti postumi si ripercuotono negativamente sulla capacità lavorativa specifica del soggetto limitandola in una misura pari al 12% (dodici per cento). Infatti, le attuali ripercussioni funzionali della spalla destra (arto dominante), limitano l’espletamento in sicurezza e completezza delle specifiche mansioni di addetto alla vigilanza non armata. Tale attività richiede una soddisfacente forza fisica e considerevole disponibilità di articolarità sia degli arti superiori sia inferiori. Nel caso di specie le limitazioni articolari a carico della spalla destra, ovvero dell’arto dominante, non possono che incidere negativamente, limitandola, sulla capacità lavorativa specifica di addetto alla vigilanza privata (non armata). “

Utilizzando le Tabelle milanesi, il danno biologico riferito a un’invalidità permanente pari al 10 % ammonta a euro 21.230,00, oltre Invalidità temporanea totale euro 98,00, Invalidità temporanea parziale al 75% euro 2.940,00, Invalidità temporanea parziale al 50% euro 2.205,00, Invalidità temporanea parziale al 25% euro 2.205,00, per un totale danno biologico temporaneo di euro 7.448,00, addivenendosi a un totale complessivo di euro 28.678,00,

Il lavoratore ha anche invocato il ristoro del danno patrimoniale.
Al riguardo il Tribunale osserva che il danno patrimoniale patito a seguito della lesione della integrità psico – fisica è un danno futuro e permanente.

Tale danno consiste nella perdita di ogni possibilità di lavoro e di guadagno ed è destinato a riprodursi anno per anno, per tutta la vita lavorativa della vittima.

Il danneggiato che invoca il ristoro di tale posta risarcitoria deve dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere al momento dell’infortunio un’attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo di esso, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali .

Al momento dell’infortunio, il lavoratore aveva la capacità reddituale di addetto alla vigilanza non armata e il CTU ha osservato che, a seguito dell’infortunio, la capacità lavorativa specifica risulta limitata nella misura del 12 %.

Per la liquidazione di tale danno è necessario moltiplicare il reddito annuo perduto dalla vittima per il c.d. “coefficiente di capitalizzazione”.

Secondo la più recente giurisprudenza i coefficienti di capitalizzazione di cui al R.D. N. 1403/1922 sono ormai obsoleti e non costituiscono più un parametro di riferimento valido per la liquidazione del danno.

Quindi, il Tribunale condivide la quantificazione del danno effettuata dal ricorrente, non specificatamente contestata dalle convenute, sulla base dei coefficienti di capitalizzazione determinati dal CSM.

Così facendo, il danno patrimoniale subito dal ricorrente ammonta a euro 42.402,00 .

L’importo complessivo del danno civile risarcibile a favore del ricorrente ammonta ad euro 71. 170, di cui euro 28.768 a titolo di danno biologico/non patrimoniale ed euro 42.402,00 a titolo di danno patrimoniale.

Il lavoratore, avendo già ricevuto le prestazioni previdenziali dell’Inail, ha diritto al solo danno differenziale.
Dalla documentazione allegata in giudizio si evince che il ricorrente ha incamerato dall’Inail a titolo di danno non patrimoniale/biologico e da inabilità temporanea la somma di euro 13.670,86.

Il datore di lavoro, in solido con la committente contumace, vengono quindi condannati a risarcire al ricorrente, a titolo danno differenziale, la somma pari alla differenza tra 28.768 da rivalutare dalla data dell’infortunio a quella della liquidazione e interessi ed euro 13.670 oltre accessori come per legge.

In conclusione, il Tribunale di Milano, condanna i convenuti a corrispondere al lavoratore per il danno biologico, una somma pari alla differenza tra euro 28.678,00 da rivalutare dalla data dell’infortunio a quella della liquidazione e interessi da calcolare come indicato in motivazione e la somma di euro 13.670,86 oltre rivalutazione e interessi; per il danno patrimoniale, euro 42.402,70 da rivalutare dalla data dell’infortunio a quella della liquidazione e interessi; condanna i convenuti a corrispondere al ricorrente, a titolo di rimborso spese di lite, euro 5.000 oltre accessori di legge; condanna i convenuti al pagamento delle spese di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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Vigilante blocca un ladro, si al risarcimento per la lesione alla spallaultima modifica: 2021-03-05T11:30:05+01:00da sagittario290