CRONACA
30 settembre 2020
Simularono una rapina al portavalori a Pietra: tre condanne a 4 anni per Montorsi, Shero e Di Sarno
La guardia giurata Ciocca invece aveva patteggiato un anno e nove mesi
Avevano simulato la rapina al portavalori della società “La Vigile” lo scorso 12 agosto 2019 a Pietra Ligure per un colpo da 400mila euro e il Gup Alessia Cessardi li ha condannati ieri a 4 anni di carcere ciascuno.
In carcere quindi finiscono il 28enne Pietro Di Sarno, ex titolare del bar Pier di via IV novembre a Savona, il 64enne Franco Montorsi, 64 anni, savonese, ex impiegato in una cooperativa di servizi al lavoro per un corriere e l’ albanese Jnoxhon Shero. Aveva patteggiato ad un anno e nove mesi la guardia giurata Michele Ciocca.
Quel giorno il dipendente dell’istituto aveva chiamato il 112 segnalando di essere stato rapinato poco prima da due soggetti, di cui uno armato di pistola, che si erano impossessati della somma di euro 400mila euro per poi narcotizzarlo. Subito erano scattate le ricerche dei “presunti” rapinatori, ma senza esito.
Le indagini dei Carabinieri della Sezione Operativa della Compagnia di Albenga, coordinate dal Sostituto Procuratore Elisa Milocco, erano iniziate proprio con la ricezione della querela da parte del vigilante che ricostruiva i fatti, riferendo di essersi recato presso il CUP dell’Ospedale di Pietra Ligure a prelevare il denaro e, mentre si trovava in bagno, di essere stato avvicinato da un uomo armato di pistola che dopo averlo disarmato, lo ha minacciato di salire con lui sull’autovettura di servizio per poi recarsi in un parcheggio del supermercato Conad di Loano.
Giunti sul posto, ad attenderli c’era un secondo complice: i due avrebbero intimato il dipendente di aprire i cassetti di sicurezza ed in particolare uno dei due presunti rapinatori lo avrebbe costretto, stringendogli la mano dietro al collo. Terminato il prelievo di denaro, circa 400.000 euro, l’uomo era stato obbligato a salire sul veicolo dopodiché era stato narcotizzato.
A seguire, gli era stata restituita la pistola, che avevano riposto in un cassetto porta oggetti. Dopo aver ripreso i sensi, verso le ore 15, l’uomo aveva attivato l’allarme contattando la centrale e il 112.
Da subito il racconto del vigilante era parso lacunoso soprattutto perché non sapeva indicare con precisione i due rapinatori e poi perché, potendo aprire solo alcuni cassetti di cui aveva ottenuto i codici dalla centrale, aveva scelto quelli con più denaro. Proprio i dettagli legati ai codici delle cassette di sicurezza si erano rivelati determinanti per le indagini: essi infatti servono proprio a identificare il richiedente al momento dell’accesso, in questo caso la guardia giurata.
Nell’istituto in questione, la guardia giurata ha accesso a due sole cassette di sicurezza alla volta nel vano posteriore del veicolo (una Panda van appositamente equipaggiata).
Ma il portavalori avrebbe abusato della buona fede della sua centrale operativa fingendo di sbagliare i codici per poter così aprire quattro cassette fingendo di aprirne solo due. Inoltre, nonostante dichiarasse di essere stato minacciato con un’arma da fuoco e narcotizzato, il portavalori in ospedale risultava stranamente tranquillo e l’esame tossicologico non aveva dato indice di presenza di strane sostanze nel sangue. Tanto che la prognosi assegnata era stata di soli due giorni.
I Carabinieri avevano comunque passato al setaccio tutte le telecamere poste sul tragitto indicato (ore e ore di girato sulla via Aurelia ad agosto nel traffico), trovando interessanti riscontri circa la presenza di una macchina (una Ford Fiesta nera) che aveva effettuato il tragitto seguendo il veicolo dell’istituto. Dalla stessa macchina, notata al momento della rapina proprio all’ospedale S. Corona, era disceso un uomo che si era recato in direzione del CUP pochi secondi prima dell’arrivo del mezzo de “La Vigile”.
Tramite l’intestatario del veicolo si era giunti all’identità del conducente dell’autovettura che quel giorno, coincidenza, non si era recato a lavorare. L’esame certosino dei tabulati telefonici (centinaia per incrociare i dati) aveva dato conferma della sua presenza nei minuti e nei luoghi indicati ed anche dei contatti con un’altra persona che corrispondeva a quella immortalata mentre scendeva dalla macchina nei pressi del CUP. Anche il tabulato telefonico di questa seconda persona la dava presente nei luoghi della rapina.
Sul coinvolgimento del dipendente della società di vigilanza è anche pesato il fatto che i due “rapinatori” avevano raggiunto l’ospedale pochi secondi prima dell’arrivo del mezzo di servizio, come se sapessero della circostanza pur non avvenendo il prelievo di danaro mai ad un’ora precisa. Ulteriori indagini, con continui servizi di pedinamento, avevano confermato la tesi investigativa: in sostanza i tre (poi diventati 4) si era messi d’accordo per commettere un furto di danaro ai danni dell’istituto di Vigilanza, simulando una rapina.
Luciano Parodi