Insubordinazione: ultime sentenze

Sentenze

11 aprile 2019

Insubordinazione: ultime sentenze

Definizione di insubordinazione; rifiuto del lavoratore di svolgere le mansioni; ingiuria e critiche rivolte al datore di lavoro; licenziamento disciplinare.

L’insubordinazione non si limita al mero rifiuto di adempiere alle disposizioni impartite dai superiori gerarchici, ma si estende a qualsiasi altro comportamento in grado di provocare un pregiudizio all’intera organizzazione aziendale.

Rifiuto del lavoratore a svolgere compiti aggiuntivi: è legittimo
In tema di licenziamento disciplinare, il rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta, avanzata dal datore, di svolgimento di compiti aggiuntivi, incompatibili con l’adibizione costante del prestatore ad un impegno lavorativo gravoso nonché ostativi al recupero delle energie psicofisiche ed alla cura degli interessi familiari del medesimo, è legittimo, sicché va esclusa una condotta di insubordinazione, non essendo i provvedimenti datoriali assistiti da una presunzione di legittimità che ne imponga l’ottemperanza fino a contrario accertamento in giudizio. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittimo il rifiuto di una guardia giurata – con turni quotidiani di lavoro, mantenuti nel tempo pur in assenza di comprovate esigenze aziendali, con orario dalle 23,55 alle 6.00 e dalle 16.00 alle 22.00 – di eseguire, al di fuori dell’orario di lavoro ordinario, il compito aggiuntivo di riscossione delle fatture).

Cassazione civile sez. lav., 17/05/2018, n.12094

Insubordinazione nel pubblico impiego privatizzato
Nel rapporto di pubblico impiego privatizzato, cui si applicano, in ragione del rinvio operato dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, i princìpi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, la nozione di insubordinazione non è limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma comprende qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione datoriale, senza che il lavoratore possa, fuori dei casi di inadempimento totale del datore di lavoro e in mancanza di un eventuale avallo giudiziario, conseguibile anche in via d’urgenza, rifiutarsi di eseguire la prestazione richiesta.

(Nella specie, la S.C. ha censurato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittimo il comportamento del comandante della polizia municipale di un Comune che, a fronte di ordini di servizio relativi al controllo del traffico emanati dal segretario comunale, non vi aveva ottemperato e ne aveva anzi adottati altri contrastanti, sul presupposto che in base al regolamento municipale il segretario comunale potesse impartire soltanto direttive di massima e non disposizioni specifiche, riservate alla sua competenza).

Cassazione civile sez. lav., 19/04/2018, n.9736

Timore per la propria incolumità e rifiuto della prestazione lavorativa
Costituisce grave insubordinazione, come tale passibile del provvedimento disciplinare del licenziamento per giusta causa, il comportamento del lavoratore che si rifiuti di eseguire la prestazione, ritenendola estranea alla qualifica di appartenenza. La sussistenza di un pericolo attuale e concreto per l’incolumità potrebbe legittimamente escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo della insubordinazione, ma perché ciò avvenga, è necessario che tale predisposizione psicologica emerga al momento del fatto e sia posta a fondamento della motivazione addotta dal lavoratore al momento del rifiuto.

E’ emerso come il rifiuto fosse fondato ab origine esclusivamente sull’assunto che la prestazione richiesta non rientrasse nelle mansioni del dipendente e che costui, addirittura, non fosse ascensorista. Circostanza quest’ultima del tutto smentita dalla produzione di regolare patentino.

Corte appello Roma sez. lav., 20/02/2018, n.777

Contestazione della figura gerarchica
L’arrogante contestazione della figura gerarchica costituisce, da parte del lavoratore, grave mancanza di rispetto del datore di lavoro e rappresenta un atto di insubordinazione; la richiesta di svolgimento di mansioni meno qualificate può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza, ma non lo autorizza a rifiutarsi di eseguire quanto richiestogli poiché egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall’imprenditore per l’esecuzione del lavoro, potendo, tuttalpiù richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell’ambito della qualifica di appartenenza. La giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non può ritenersi vincolato dalle previsioni dettate al riguardo dal contratto collettivo.

Tribunale Torino, 12/05/2017

Insubordinazione nel lavoro subordinato
La nozione di insubordinazione, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione ed il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.

(In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto atto di insubordinazione, suscettibile di legittimare il licenziamento, l’ingerenza indebita della lavoratrice nell’organizzazione aziendale, manifestatasi nell’imposizione ai dipendenti di direttive, non discusse né concordate con la direzione aziendale, con modalità comportamentali dirette a contestare pubblicamente il potere direttivo del datore di lavoro).

Cassazione civile sez. lav., 27/03/2017, n.7795

Violazione dei principi di correttezza e buona fede
È legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che non produce al datore di lavoro i documenti necessari alla predisposizione delle pratiche per il suo eventuale trasferimento. In tal caso, non vale invocare una pretesa invalidità del trasferimento per giustificare una forma di autotutela da parte del dipendente rispetto alla lesione dei suoi diritti contrattuali. Lo afferma la Cassazione sostenendo che il rifiuto di eseguire una disposizione aziendale preliminare al trasferimento, proprio per evitare il cambio di sede, costituisce insubordinazione e contravviene ai principi di correttezza e buona fede nella gestione del rapporto di lavoro.

Per la Corte, semmai, il dipendente avrebbe dovuto preliminarmente contestare sul piano formale il trasferimento e non, invece, porre in essere un comportamento ostruzionistico diretto a impedire o, quanto meno, a ritardare l’efficacia del provvedimento aziendale.

Cassazione civile sez. lav., 21/11/2016, n.23656

Critiche rivolte ai superiori
In tema di giusta causa di licenziamento per insubordinazione, la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana di cui all’art. 2 Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, dal momento che l’efficienza di quest’ultima riposa in ultima analisi sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi e tale autorevolezza non può non risentire un pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli.

Cassazione civile sez. lav., 11/05/2016, n.9635

Insubordinazione: licenziamento per giusta causa
In tema di licenziamento per giusta causa, la nozione di insubordinazione è ristretta alla condotta di chi rifiuti di ottemperare ad una direttiva o ad un ordine, giustificato e legittimo, di svolgere una diversa attività o un diverso compito; tale ipotesi non risulta integrata nella fattispecie in oggetto, in cui al lavoratore era stato contestato di avere, durante l’orario di lavoro, eseguito attività per conto proprio, fuori della postazione di lavoro senza alcun permesso e utilizzando attrezzature sulle quali non era stato preventivamente addestrato, sicchè deve essere cassata la decisione dei giudici del merito che aveva confermato la sanzione espulsiva considerandola proporzionata rispetto al comportamento contestato, essendosi trattato in sostanza di un episodio di insubordinazione.

Cassazione civile sez. lav., 26/04/2016, n.8236

Insubordinazione con ingiuria
Il reato di insubordinazione con ingiuria previsto dall’art.189 cod. pen. m. p. ha natura plurioffensiva e non può, quindi, ritenersi tacitamente abrogato dall’art. 1, lett. c) D.Lgs. 15 gennaio 2016 n.7, riguardante la “abolitio criminis” del reato di ingiuria comune, di cui all’art. 594 cod.pen.

Cassazione penale sez. I, 15/03/2016, n.39711

Appropriazione indebita di merce e insubordinazione
In tema di licenziamento disciplinare, qualora il fatto accertato rientri fra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, è corretta l’individuazione del regime sanzionatorio nel comma 4 dell’art. 18 st.lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012.

(Nella specie, è stata esclusa la prova della condotta di appropriazione indebita di merce e la contestata insubordinazione è stata derubricata in “esecuzione con negligenza del lavoro affidato”, fattispecie sanzionata con la multa dall’art. 215 del c.c.n.l. terziario).

Cassazione civile sez. VI, 17/10/2018, n.25949

Insubordinazione: pluralità di condotte inadempienti del lavoratore
In tema di licenziamento disciplinare, l’insubordinazione può risultare da una somma di diverse condotte, e non necessariamente da un singolo episodio, tali da integrare una giusta causa di licenziamento, poiché il comportamento reiteratamente inadempiente posto in essere dal lavoratore – come l’uscita dal lavoro in anticipo e la mancata osservanza delle disposizioni datoriali e delle prerogative gerarchiche – è contraddistinto da un costante e generale atteggiamento di sfida e di disprezzo nei confronti dei vari superiori gerarchici e della disciplina aziendale tale da far venir meno il permanere dell’indispensabile elemento fiduciario.
(Nella specie, la S.C. ha ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore che aveva abbandonato in plurime occasioni il proprio posto di lavoro prima della fine del turno, invocando un diritto al “tempo tuta”, e si era rifiutato di riprendere il lavoro, pur espressamente invitato a farlo, rivolgendo minacce al capo reparto).

Cassazione civile sez. lav., 13/09/2018, n.22382

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