Omicidio del Palabingo Paolini: «Processo rapido»

iltirreno

Cronaca

03 novembre 2017

Omicidio del Palabingo Paolini: «Processo rapido»

Chiesto il rito abbreviato dalla guardia giurata che uccise il collega-rapinatore Il legale: sparò per difendersi. La moglie della vittima si costituisce parte civile

PISA. Un processo rapido per l’omicidio del Palabingo. È già tutto scritto nelle carte. Con l’unica persona presente al momento del fatto nel duplice ruolo di testimone e imputato.

Simone Paolini ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato. Esame sulla base degli atti e sconto di un terzo in caso di condanna. Ma l’imputato, accusato di omicidio preterintenzionale, difeso dall’avvocato Erminia Imperio, è convinto della propria innocenza. La sua tesi è di aver sparato per difendersi da un pericolo incombente per la propria vita. Una persona con un casco in testa gli stava puntando una pistola. Lui sparò e solo durante la colluttazione con il bandito scoprì che si trattava di un suo collega.

Ieri mattina l’avvocato Imperio ha formalizzato il ricorso al rito abbreviato davanti al gup Giuseppe Laghezza. Lo ha fatto subordinandolo all’escussione di un teste, lo psicologo e criminologo Simone Montaldo.

La moglie della vittima si è costituita parte civile. È assistita dall’avvocato Irene Saba. L’udienza è stata rinviata a marzo per la discussione e l’eventuale sentenza con il pm Lydia Pagnini per la pubblica accusa.

Il processo, a porte chiuse, per l’omicidio del Palabingo è destinato a durare un paio di udienze. Fin dal primo interrogatorio la versione di Simone Paolini, 38 anni, di Pisa, dipendente del corpo Guardie di Città, non ha subìto modifiche o correzioni. Lui era al lavoro per ritirare l’incasso del Palabingo di Navacchio – circa 6 mila euro – quando alle 4,27 del 14 agosto 2015 gli si para davanti una persona con il volto coperto dal casco e con una pistola in mano. Si avvicina alla portiera, lato guidatore, dell’auto di servizio dell’istituto di vigilanza e la reazione di Paolini è immediata. Estrae la pistola e fa fuoco. Due colpi che raggiungono il rapinatore, Davide Giuliani, 46 anni, di Montecalvoli. Non muore subito. Fa il giro dall’auto ed entra dallo sportello del passeggero. Nel corpo a corpo Paolini riesce a togliergli il casco e riconosce chi voleva rapinarlo. È un suo collega. In quel periodo è in congedo parentale, ma prima era uno che organizzava i servizi delle Guardie di Città. «Lo faccio perché ho bisogno di soldi» gli confida il collega, ferito a morte, colpito al petto e a un fianco. Scappa prima a piedi e poi in auto e verso le 5,10 lo trovano riverso in strada a qualche centinaio di metri dal luogo della sparatoria. La difesa sostiene che questa sequenza, confermata dai carabinieri nel corso dei riscontri investigativi, sia sufficiente per arrivare a un’assoluzione. Per questo è stato chiesto l’abbreviato: «Basta quello che c’è negli atti per capire che Paolini si è difeso dopo essersi sentito minacciato da un bandito che gli puntava una pistola in faccia».

Pietro Barghigiani

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