Firenze. Pronto soccorso di Santa Maria Nuova, medici costretti a difendersi

Cronaca

01 novembre 2017

Firenze. Pronto soccorso di Santa Maria Nuova, medici costretti a difendersi

Dottori e infermieri aggrediti da pazienti sotto l’effetto di alcol e droghe: “Siamo in prima linea nel cuore della movida”

di MARIA CRISTINA CARRATU’

FIRENZE – È UN attimo, l’omone ubriaco non trova i documenti, il medico li vuole ma niente, non saltano fuori, e allora l’omone si arrabbia, afferra la scrivania e la scaraventa contro il muro. Computer schedari telefoni volano a terra, i fili si strappano, le infermiere urlano, una per poco non ci resta sotto, ma l’omone non si ferma, cerca il medico, gli si avvicina per sfracellarlo. Così lui fa quello che si fa nella foresta davanti a grizzly, resta immobile, quasi non respira, e l’accorgimento funziona, il gigante alcolizzato si ferma, abbassa il pugno. Con l’aiuto della polizia, chiamata nel frattempo (da tempo, di notte, non c’è più presidio notturno, ma una guardia giurata), gli infermieri lo afferrano, una puntura di sedativo e l’allarme rientra. Giusto per qualche ora. Il pronto soccorso di Santa Maria Nuova è un fronte caldo perenne, difficile dire quanto resistano le tregue. Lo spazio del giorno, e col buio tutto ricomincia. Lunedì notte il 55enne si è fermato senza ammazzare nessuno, «ma quanto ancora si potrà dire “per fortuna”? », mormorano un medico e un’infermiera arrivati a fine turno «stanchi e svuotati», chiedendo al cronista di restare anonimi, «lamentarsi è dannoso», si intende per la carriera e la reputazione, e anche inutile. Il pronto soccorso di Santa Maria Nuova è il più piccolo della città ma quello con più alcolizzati, casistica arcinota a cui nessuno ha trovato una soluzione, ammesso che l’abbia cercata. Chi sceglie questo lavoro sa di entrare in trincea, ma adesso si sta esagerando, fanno capire i camici bianchi e azzurri che si aggirano fra le lettighe scaricate dalle ambulanze, «che siamo sotto organico non è una novità, anzi è la regola», col risultato che il rischio di trovarsi in situazioni di pericolo aumenta in modo esponenziale causa movida, minorenni sballati, stranieri in vena di eccessi, e non solo, perché a fare la loro parte sono anche le generazioni di mezzo, i 25-40enni, «i freni inibitori», dice un infermiere di lungo corso, «ormai li hanno persi tutti».

Non solo: fra gli infermieri sono più le donne degli uomini, e per garantire un minimo di incolumità a chi ha meno muscoli tocca fare i turni di notte tenendo conto dei generi, un uomo ogni tot donne, con turni più frequenti per gli uomini, perché ormai fare questo lavoro è anche questione di fisico. Ma mica è detto che basti quando l’americano di un metro e novanta sotto MD e alcool dà di fuori, il ventenne strafatto di cannabis “rafforzata” dà calci alla flebo, la minorenne sotto shaboo tenta di scappare, con i genitori non si trovano, e quando si trovano reagiscono seccati, «ah, e ora mi tocca venire a prenderti?».

A dare una mano, una o due volte la settimana, arrivano gli operatori della Cat, che “agganciano” qualche ragazzo e provano a seguirlo anche fuori, «un aiuto, certo », conferma il personale del pronto soccorso. «Ma gli altri», allarga le braccia un medico, «i giganti di 50 anni pieni di cocaina, i ventenni alla terza, decima, recidiva alcolica, che fare con questi?». Si sa che lavorare qua dentro espone alle frustrazioni, ma il problema, a questo punto, ha qualcosa di epocale. Ed è che un pronto soccorso «piazzato nel cuore di una città ostaggio della movida, è destinato a cambiare connotati», a diventare altro: il luogo non più delle emergenze vere, quelle imprevedibili che la vita riserva senza che si vadano a cercarle, ma dell’emergenza demenziale provocata da «chi la vita decide di proposito di sprecarla», per poi andare a occupare barelle, letti, energie professionali, risorse pubbliche, a scapito di chi ne ha bisogno davvero. Si spiega così lo “speciale” senso di «frustrazione rabbiosa», come la definisce una dottoressa, che si prova a fine turno a Santa Maria Nuova, quando si smette il camice per tornare a casa? Forse sì. Non è la stessa cosa sentirsi impotenti dopo aver lottato invano per salvare un infartuato, la vittima di un incidente, o perché in un barellato in coma etilico si riconosce il ragazzino già ripescato il sabato prima da un assurdo sballo volontario. «A volte», dice la dottoressa, «dopo che li hai rianimati, viene voglia di prenderli a ceffoni». E magari anche di piangere, su un grande spreco che non è solo di soldi.

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