IVREA. Guardia giurata a processo: “denuncia inventata contro di me”

Cronaca

25 novembre 2016

IVREA. Guardia giurata a processo: “denuncia inventata contro di me”

A udire le testimonianze, la sensazione è che Francesco Leva avesse cercato lo scontro, che avesse fatto di tutto per provocare il suo avversario in amore ed “incastrarlo”. E alla fine, ammesso che il suo obiettivo fosse davvero quello, ci era riuscito: Fabrizio Raganello, 33 anni guardia carceraria, originario del sud e residente ad Ivrea, aveva perso le staffe, era corso giù per le scale fino all’ingresso del condominio e lo aveva affrontato. “Adesso basta, hai rotto i coglioni, devi lasciarci stare” aveva detto chiaro e tondo a Leva. Che cos’altro possa essere accaduto, oltre a questo, è stato raccontato dai due uomini in tribunale. Due versioni diverse. Di certo c’è che venne pronunciata questa frase come ha confermato la registrazione ascoltata in aula, presso l’aula penale del palazzo di giustizia eporediese, l’altra settimana. Non una parola di più e non una di meno.

“Ho detto questo, e soltanto questo, infatti” ha confermato Raganello, rendendosi disponibile all’esame. In questa vicenda è lui l’imputato, accusato dei reati di minacce e lesioni (assistito dall’avvocato Daniela Benedino), per un fatto risalente al 18 aprile 2013. Si era beccato una denuncia da parte dell’ex marito della sua compagna. “Non gli ho mai messo le mani addosso, era lui che ci stava sempre addosso” ha raccontato.

Ma andiamo per ordine. Leva, l’altra settimana, ha fornito il suo racconto. Sostiene che quel giorno stava accompagnando, come spesso accadeva, il figlio avuto da quel matrimonio fallito dalla madre, residente ormai da qualche tempo in un condominio del quartiere San Lorenzo insieme al nuovo compagno Fabrizio Raganello. Leva si era fatto accompagnare dal cognato, su un’altra auto, che lo seguiva a pochi metri di distanza. “Riganello è sceso arrabbiato dall’alloggio” ha riferito Leva aggiungendo che “già in precedenza mi aveva minacciato di morte”. A quel punto “ho preso telefono tentando di registrare, lui si è buttato sulla linea divisoria della strada offendendomi, dicendo che mi avrebbe ammazzato, che preferiva farsi dieci anni ma non averti in mezzo ai piedi”.

Queste parole, però, non risultano affatto nella registrazione consegnata agli atti come documento di prova. “Il condominio in cui vivo è pieno di vicini che potrebbero testimoniare – ha ribadito l’imputato -. Pieno di persone che possono confermare che non ho mai usato violenza nei confronti di Leva. Tanto è vero che lui non si è fatto nemmeno refertare all’ospedale”.

“Fa tutto questo – ha aggiunto Raganello – per darmi dei problemi. La stessa denuncia l’ha fatta all’ex suocero, al fratello della mia compagna, ha anche tentato con la madre. Solo da un annetto ha smesso di inventarsi denunce”.

Raganello ha raccontato che quella sera lui e la compagna stavano cenando. “Eravamo a tavola, tranne Lorenzo che di solito torna verso le 21.15. Abbiamo sentito il citofono, la mia compagna è andata ad aprire, io mi sono affacciato sulla porta, siamo al terzo piano, a quel punto sento quasi urlare il Leva. Ho sentito che sbatteva l’ascensore, era il periodo che se le inventava tutte. Ho aspettato che salisse, ho trovato la mia compagna e Lorenzo che piangevano e ho chiesto. Mi sono tolto il pigiama e ho messo la tuta, ho visto Leva parcheggiato che maneggiava il telefono.

Già una settimana prima Leva aveva pensato di inviarci la polizia a casa. Dico questo per far capire che non ci lascia in pace: non sono io che vado da lui, è lui che viene da me. In sette anni come guardia giurata non ho mai sparato a nessuno, e dovrei sparare a Leva, perché? Per rovinarmi la vita? E lui continua a dire che lo voglio ammazzare. Ma per quale ragione del mondo? Lui ha accelerato, ha tentato di mettermi sotto, io non l’ho aggredito, mai e nemmeno quel giorno”.

A fortificare la tesi dell’imputato sono gli stessi tentennamenti avuti dalla sedicente persona in aula. Perché, per esempio, Leva si faceva accompagnare a distanza? E’ una delle domande che l’avvocato Benedino gli ha posto. “Il motivo – ha risposto – è che, se fosse capitato qualcosa, qualcuno potesse difendermi o testimoniare in un eventuale processo…”.

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