Omicidio Talarico, il figlio: “Mio padre vittima della ‘ndrangheta 28 anni fa”

Cronaca

Sabato, 02 Luglio 2016 11:26

Omicidio Talarico, il figlio: “Mio padre vittima della ‘ndrangheta 28 anni fa”

di Claudia Strangis.

Lamezia Terme – Il 2 settembre del 1988, quasi 28 anni fa, il 50enne Antonio Raffaele Talarico, guardia giurata, si stava dirigendo sul suo posto di lavoro, un cantiere edile in località Bagni, nei pressi del cimitero a Sambiase, quando, mentre si apprestava ad aprire il cancello, fu raggiunto alle spalle da diversi colpi di arma da fuoco che lo ferirono mortalmente. Guardia giurata da vent’anni, dopo le scuole dell’obbligo, sposò Lina Raso da cui ebbe quattro figli: Vincenzo, Ruggero, Gilda e Leone. Fu tra i primi, negli anni ’60 ad ottenere il decreto prefettizio di Guardia Particolare Giurata e venne ben presto assunto proprio nel cantiere dove, dopo vent’anni, perse la vita.

Un agguato vero e proprio, portato a termine mentre Talarico, che da vent’anni puntualmente era solito aprire quel cancello per cominciare il suo turno di lavoro, scendeva dalla sua Fiat 127. Due i killer, appostati in un uliveto proprio di fronte al cantiere, che lo colpirono da una distanza molto ravvicinata con un fucile caricato a pallettoni. I colpi lo raggiunsero alla nuca e alle spalle, facendolo cadere all’indietro e colpendo uno dei fari. Colpi che lo fecero morire rapidamente.

A seguire le indagini, i Carabinieri della Compagnia di Lamezia Terme di allora che cominciarono a battere le campagne circostanti per rintracciare i killer. Posti di blocco, perquisizioni ma le indagini non portarono alcun risultato. I killer si erano già dileguati e subito dopo l’omicidio erano già riusciti a far perdere le loro tracce, superando il cordone di forze dell’ordine. Tempi bui a Lamezia in quel periodo. Gli omicidi erano cominciati diversi anni prima e quello di Antonio Raffaele Talarico, purtroppo, divenne un’altra tacca da aggiungere a quelle già segnate e da segnare nel corso degli anni. Anni in cui si ammazzava per niente e ad andarci di mezzo erano anche persone che non avevano nulla a che fare con la criminalità organizzata e che lavoravano onestamente.

Le indagini

Gli inquirenti cominciarono subito le indagini: Talarico era incensurato, non aveva fama di “cattivo ragazzo” ed era sempre stato un lavoratore dedito alla famiglia. Allora perché fu ucciso? La risposta definitiva arrivò dopo vent’anni ma confermò i sospetti degli inquirenti dell’epoca. Talarico era stato ucciso per una questione territoriale di guardianie. Coloro che seguirono le indagini ai tempi sapevano che dietro l’omicidio, per modalità e tempi, doveva esserci una ‘ndrina locale che stabilmente controllava il territorio di Sambiase, o almeno una parte. Coloro che uccisero Talarico facevano parte dell’organizzazione criminale che si occupava del racket delle estorsioni e delle guardianie. Per il clan, infatti, gli interessi nei confronti di quelle aziende erano molto appetibili. La loro intenzione era quella di controllare le ditte della zona attraverso l’imposizione dei loro guardiani ma per farlo dovevano eliminare i vecchi guardiani, come Antonio Raffaele Talarico, e così fecero. Prima cominciarono con gli atti intimidatori e i danneggiamenti, diversi in poco tempo, e poi passarono agli atti di sangue, e ad andarci di mezzo fu proprio Talarico, la cui colpa era di lavorare in quella ditta.

L’attività investigativa svolta da Forze dell’ordine e Magistratura, portò al rinvio a giudizio di numerosi esponenti della cosca, tra cui Peppino Pagliaro e Salvatore Andricciola (successivamente deceduti proprio per mano della cosca avversaria, ndr) ma il procedimento penale nei loro confronti si concluse con un nulla di fatto. Tutto archiviato, infatti, per mancanza di prove. Solo dopo otto anni dall’omicidio, il caso fu riaperto. Cominciò a parlare, infatti, un ex esponente della cosca, Pasqualino D’Elia, che, divenuto collaboratore di giustizia, ammise di aver partecipato all’omicidio e, solo nel 2011, si è arrivati alla sentenza di primo grado che portò alla condanna di D’Elia, reo confesso. Una vicenda giudiziaria che si concluse con la conferma della condanna in secondo grado e anche in Cassazione.

Antonio Raffaele Talarico, una figura poco conosciuta, per non dire dimenticata dalla sua città, è stato riconosciuto dallo Stato come “vittima innocente della criminalità organizzata” nel 2009, ma a ricordarlo a Lamezia, c’è solo una piccola targa posizionata dove si trova il palazzo dei Servizi Sociali su corso Numistrano.

Di seguito alcuni stralci dell’intervista al figlio di Antonio Raffaele Talarico, Vincenzo.

Conosceva gli autori dell’omicidio di suo padre?

“Certo, a Sambiase ci conoscevamo e ci conosciamo tutti. Molte volte li ho incontrati al bar”.

Sapeva che potessero essere stati loro i colpevoli, aveva i suoi sospetti?

“I sospetti li avevo. Se vivi in un paese e conosci l’ambiente, sai chi potrebbero essere stati i colpevoli. Molte volte mi hanno detto che i colpevoli “non c’entravano niente, sono estranei”. Qualcuno a loro vicino, spesso è venuto a precisare che loro, (i killer, ndr) erano estranei all’omicidio di mio padre. Erano persone che incontravo al bar, sapevo che cosa facevano. Io sono sempre stato un lavoratore e abitando a Sambiase sapevo benissimo chi erano e a che cosa erano dediti”.

Il momento più emozionante?

“E’ stato quando abbiamo avuto la sentenza di condanna. Ci siamo sentiti sollevati. Non ci ha dato piacere, non ci ha riportato in vita nostro padre ma abbiamo avuto almeno un po’ di giustizia. Ci sono state persone che non hanno avuto la stessa fortuna. Noi almeno abbiamo saputo cosa è successo, chi è stato ad uccidere nostro padre, e chi è stato, almeno è stato condannato”.

Cosa è cambiato dal 1988 ad oggi a Lamezia?

“Qualcosa è cambiato, prima a livello generale c’era più omertà. Oggi, invece, a livello di cittadinanza, si sta smuovendo qualcosa. Trent’anni fa era tutto diverso, di alcune cose non si poteva parlare. Oggi invece c’è un atteggiamento diverso. Grazie anche alle manifestazioni, alle associazioni, la mentalità sta cambiando. Qualcuno comincia a ricredersi, a capire la differenza tra bene e male”.

Quella di allora era una realtà diversa rispetto a quella di adesso a Lamezia?

“Una realtà completamente diversa”.

E’ cambiata anche la sua mentalità?

“Io personalmente sono rimasto scioccato dall’omicidio. Ho avuto una sorta di rigetto, di disgusto. Perché si trattava di persone che conoscevo, persone che vedevo magari abitualmente al bar, come ho già detto. E sapere che avevano compiuto un atto tanto atroce, mi hanno fatto letteralmente scioccare ancora di più da quell’ambiente. Convivere a fianco di quelle persone, avendo saputo poi dopo tutto quello che è successo, è stato davvero scioccante”.

C’è qualcosa che vorrebbe chiedere dopo tutti questi anni?

“All’amministrazione comunale non chiediamo manifestazioni pubbliche ma almeno l’intitolazione di una via che possa servire a ricordare la figura di mio padre, forse la commissione per la toponomastica si occuperà di questo”.

L’intervista completa è stata pubblicata sul numero 226 del Lametino che potete trovare in edicola.

http://www.lametino.it/Cronaca/omicidio-talarico-il-figlio-mio-padre-vittima-della-ndrangheta-28-anni-fa.html

Omicidio Talarico, il figlio: “Mio padre vittima della ‘ndrangheta 28 anni fa”ultima modifica: 2016-07-03T10:45:00+02:00da sagittario290