Patto di prova: i giorni di riposo non si contano

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16 ago 2015

Patto di prova: i giorni di riposo non si contano

Licenziamento possibile escludendo dal calcolo del periodo di prova i giorni in cui non è stata svolta l’attività lavorativa.

Il periodo massimo del patto di prova, previsto dai contratti collettivi e dalla legge, si calcola escludendo dal conteggio i giorni di riposo. La normativa stabilisce, infatti, che la prova può durare al massimo 6 mesi, ma si deve considerare solo il lavoro effettivamente svolto. Lo ha chiarito la Cassazione con una recente sentenza [1].

L’esatto conteggio è molto importante in quanto solo durante il periodo di prova il datore di lavoro può licenziare “ad nutum”, il dipendente ossia in tronco e senza peraltro fornire una giustificazione se non la valutazione del “mancato superamento del periodo di prova”. Se il licenziamento dovesse intervenire anche un solo giorno dopo la scadenza del periodo di prova, dovrebbe seguire le regole generali (licenziamento solo per giusta causa o giustificato motivo).

L’arco temporale di durata del periodo di prova prevede esplicitamente il riferimento al “lavoro effettivo”, con esclusione, quindi, dei giorni di riposo.

Di conseguenza, non è accettabile, spiegano i giudici della Cassazione, la tesi secondo cui il riposo costituisce una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Lo scopo del patto di prova è evidente: la verifica della reciproca convenienza del rapporto di lavoro da valutare attraverso una sperimentazione “sul campo”, con esclusione quindi dei giorni in cui la prestazione non è di fatto resa (durante i quali, altrimenti, la sperimentazione sarebbe solo virtuale).

La sentenza

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre 2014 – 4 marzo 2015, n. 4347
Presidente Vidiri – Relatore Doronzo

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con sentenza depositata in data 25 marzo 2010, la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’appello proposto da Sicurcenter s.r.l. contro la sentenza resa dal Tribunale di Cosenza che, in accoglimento della domanda proposta da G.M., aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a quest’ultimo dalla società appellante, con atto del 24 agosto 2007 e motivato dal mancato superamento del periodo di prova; conseguentemente, aveva condannato la società alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dall’illegittimo licenziamento fino alla reintegra.
1.3. A sostegno della sua decisione la Corte riteneva che:
il recesso doveva ritenersi tardivo in quanto alla data della sua comunicazione il lavoratore aveva già superato il periodo di prova;
nella determinazione del periodo di prova dovevano essere conteggiati anche i giorni di riposo, in quanto durante tale periodo la mancata prestazione lavorativa inerisce al normale svolgimento del rapporto;
per effetto di questo calcolo, aggiungendo ai giorni di effettivo servizio prestato (cinquantatre) anche quelli di riposo goduti dal lavoratore dopo sei giorni lavorati (otto), e con esclusione dei riposi convenzionali, il lavoratore aveva prestato complessivamente sessantuno giorni di lavoro, oltre il termine di durata del periodo di esperimento della prova fissato in sessanta giorni dal C.C.N.L. per i dipendenti degli Istituti di vigilanza.
1.4. Contro la sentenza la Sicurcenter s.p.a. propone ricorso per cassazione fondato su un unico articolato motivo, cui resiste il M. con controricorso. 2. Con l’unico articolato motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 2096 c.c. e dell’art. 69 del C.C.N.L. del personale degli istituti di vigilanza, in relazione agli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., nonché per violazione di queste ultime norme nell’interpretazione del contratto individuale di lavoro. Assume che l’espressione adoperata nell’art. 69 del CCNL, secondo cui la durata massima del periodo di prova non può eccedere, per i dipendenti inquadrati nei livelli al di sotto del 1 super (tra cui il M.), “60 giorni di effettivo lavoro prestato”, e l’analoga espressione presente nella lettera di assunzione dell’8 giugno 2007, non potevano avere altro senso che quello fatto palese dalle parole: in questa prospettiva, l’aggettivo “effettivo” indicava la volontà delle parti di includere nel periodo di prova solo i giorni in cui il lavoratore era effettivamente in attività di servizio, con esclusione di tutti gli altri in cui tale attività non era reale ed effettiva. In particolare, in assenza di una diversa previsione della contrattazione collettiva o del contratto individuale di lavoro, non potevano computarsi nel periodo di durata del periodo di prova le giornate di riposo legale o convenzionale godute dal lavoratore.
Questa interpretazione peraltro rispondeva alla finalità del patto di prova, che è quella di consentire alle parti di verificare la reciproca convenienza della prestazione lavorativa nonché l’accertamento da parte del datore di lavoro della capacità del prestatore di lavoro.
3. II motivo è fondato.
3.1. Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte è prevalentemente orientata nel senso di ritenere che il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso – in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova – in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Quest’ultimo, data la sua funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova (Cass., 5 novembre 2007 n. 23061; Cass., 13 settembre 2006 n. 19558).
3.2. Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo (così Cass., 5 novembre 2007, n. 23061; Cass., 22 marzo 2012, n. 4573).
3.3. E’ compito del giudice del merito procedere all’interpretazione della norma del contratto collettivo, poiché si verte in un’ipotesi di denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, lamentandosi un’errata interpretazione della legittimità delle condotte datoriali in base a norme di ermeneutica negoziale (artt. 1362 e ss., c.p.c.). La parte ricorrente ha, con la sua denuncia, fatto riferimento alle regole codicistiche di interpretazione dei contratti collettivi e dei principi in esse contenuti, che avrebbero dovuto supportare l’ iter argomentativo della impugnata sentenza e che, come si è in precedenza ricordato, hanno trovato riscontro in decisioni di questa Corte e nelle in esse evidenziate finalità sottese al patto di prova. 4. Poste queste premesse, deve ritenersi che il ricorso è fondato. 4.1. L’art. 69 del C.C.N.L. per i dipendenti da Istituti di vigilanza privata, valido dal 1 maggio 2004 al 31 dicembre 2008, sotto la rubrica “Periodo di prova”, così prevede: “La durata massima del periodo di prova non potrà superare i seguenti limiti: – personale inquadrato nel livello Quadro e nel I livello super: 150 giorni di effettivo lavoro prestato; – personale inquadrato negli altri livelli: 60 giorni di effettivo lavoro prestato. Tale periodo di prova sarà proporzionalmente ridotto, sino ad un minimo di 30 giorni, in considerazione di eventuali periodi di stage svolti all’interno dell’azienda e derivanti da corsi di formazione riconosciuti dall’ente bilaterale. La riduzione è calcolata secondo la seguente tabella (…). Al lavoratore in prova dovrà essere corrisposta la retribuzione per la qualifica assegnata”.
4.2. La Corte territoriale ha ritenuto che la norma contrattuale in esame, che fissa in sessanta giorni di “effettivo lavoro prestato” la durata del periodo di prova, debba essere interpretata nel senso che il “lavoro prestato” debba contemplare anche i giorni di riposo settimanale, di regola coincidenti con la domenica, in quanto sono obbligatori per legge, costituiscono una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e si pongono come condizione necessaria per il recupero delle condizioni psicofisiche del lavoratore. Ha invece escluso dal concetto di “effettivo servizio” i riposi convenzionali, non avendo questi le medesime caratteristiche e finalità dei riposi settimanali.
4.3. Tale interpretazione non appare tuttavia rispettosa del dato letterale, e in particolare dell’uso ripetuto dell’aggettivo “effettivo” che si rinviene nel testo della norma: sul punto, la Corte territoriale ha omesso ogni valutazione, non specificando in forza di quale criterio ermeneutico ha ritenuto di privilegiare questa opzione, né spiega perché le parti hanno adoperato l’aggettivo “effettivo” nella fissazione del complessivo arco temporale di durata del periodo di prova. L’affermazione secondo cui il riposo “costituisce una modalità di svolgimento dell’attività lavorativa” e si pone come condizione necessaria per l’espletamento della prestazione lavorativa, rimane apodittica ed insufficiente (v. Cass., 8 ottobre 1999, n. 11310; Cass., 18 luglio 1998, n. 7087, quest’ultima riguardando proprio il ccnl degli istituti di vigilanza privata; Cass., 25 agosto 1999, n. 8859). 4.4. L’interpretazione suddetta viola le regole contenute dell’articolo 1362, comma 1 °, c.c. secondo cui nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole; il comma successivo stabilisce poi che, per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare al riguardo che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa (cfr, ex plurimis, Cass.,22 dicembre 2005, n. 28479; Cass., 22 febbraio 2007, n 4176; Cass., 4 gennaio 2013, n. 110). 4.5. Quest’ultima condizione è riscontrabile nel caso in esame, posto che la ricordata disposizione della norma contrattuale di riferimento è chiara nella sua portata precettiva, facendo espresso riferimento oltre che all’effettività della prestazione lavorativa anche ai “giorni” come unità temporale di riferimento, ed in cui è evidente la volontà delle parti di collegare la verifica della reciproca convenienza del rapporto di lavoro ad una reale ed esattamente valutabile sperimentazione dello stesso, con esclusione dei giorni in cui la prestazione non è di fatto resa, rendendo così la sperimentazione meramente virtuale.
5. Sussistono quindi i difetti denunciati con il ricorso che giustificano la cassazione della sentenza impugnata e la rimessione ad altro giudice, che – che dopo i necessari accertamenti di fatto – effettuerà una nuova valutazione in merito al compimento, o meno, del periodo di prova da parte del M., tenendo conto della disciplina collettiva e dei principi sopra enunciati in tema di interpretazione del contratto ed in generale dei criteri dettati negli artt. 1362 e ss. c.c.
Il giudice del rinvio deciderà anche in ordine alle spese del presente grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

[1] Cass. sent. n. 4347/2015 del 4.03.2015.

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