Presi come vigilantes ma trattati come colf

Cronaca

10/06/2014 06:05

Presi come vigilantes ma trattati come colf

«Abbiamo un contratto da addetti alle pulizie I rom sanno che siamo disarmati. E giù botte»

Le guardie dei campi nomadi della Capitale sono assunte come addetti alle pulizie. Difficile da credere? Eppure è proprio così. Ogni giorno ricevono minacce e botte dai rom, sono costrette a perlustrare i campi nomadi palmo a palmo, anche di notte, rischiando la vita. Per difendersi non hanno nulla, la pistola se la sognano. Insomma, svolgono un vero e proprio servizio da guardie giurate ma sono stati assunti con un contratto che testualmente recita: «Dipendenti di imprese industriali esercenti servizi di pulizia, disinfezione, disinfestazione e derattizzazione», come si legge all’ufficio collocamento della Provincia di Roma.

Come è possibile che questi lavoratori vengano lasciati a loro stessi? Bisogna risalire al febbraio del 2012, quando il Comune di Roma decise di dare il ben servito ai tre istituti di vigilanza che fino a quel giorno si erano occupati di mantenere l’ordine in cinque dei cosiddetti villaggi della solidarietà (La Barbuta, via di Salone, via Candoni, Castel Romano e via di Gordiani). Tramite l’agenzia per il lavoro Etjca viene indetto un bando per selezionare i nuovi 77 «addetti al controllo e al monitoraggio» dei campi nomadi. Si cerca, ovviamente, personale che abbia «esperienza pluriennale nel settore della vigilanza e della sicurezza». Fin qui tutto bene. La sorpresa, però, arriva dopo la selezione, al momento dell’assunzione. I fortunati 77, infatti, si trovano a dover firmare un contratto di tutt’altro tenore. Alla voce “Disciplina del rapporto” si legge: «Il suo rapporto di lavoro è regolato, sia nella parte normativa che in quella economica, dal vigente CCNL “Imprese di pulizia per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi”». Insomma, il Comune, tramite la municipalizzata Risorse per Roma (controllata al 100% dal Campidoglio) ha assunto esperti di vigilanza inquadrandoli come netturbini, o se preferiamo come dei semplici portieri. Il problema è che questo personale non ha i mezzi per svolgere le funzioni che gli vengono richieste: devono controllare tutte le persone che entrano nei villaggi impedendo l’accesso ai non autorizzati, devono supportare la polizia di Roma Capitale ogni volta che interviene, devono monitorare h24 l’impianto di videosorveglianza, devono avvertire la centrale operativa in caso di «avvenimenti criminosi» e, soprattutto, devono «effettuare almeno tre ricognizioni del villaggio». «Come possono pensare che facciamo le ricognizioni senza nessuno strumento di difesa», dice Claudio Bigioni, uno degli dipendenti di Risorse per Roma che durante un pattugliamento notturno è scivolato e si è rotto un ginocchio. «Io e i miei colleghi siamo stanchi di avere paura nel svolgere il nostro lavoro. Siamo vittime di intimidazioni continue e aggressioni. Il 27 maggio abbiamo presentato una denuncia al ministero del Lavoro. Ho sporto denuncia anche ai carabinieri. Siamo esasperati».

Nella denuncia al ministero del Lavoro è messo nero su bianco il clima che si respira nell’insediamento de La Barbuta, periferia sud-est della Capitale: «I residenti del villaggio rifiutano ogni forma di legalità, si sentono “spiati” e “presidiati” dagli addetti alla portineria e spesso si sono ribellati con minacce e aggressioni anche a mano armata». Nonostante questa situazione, Risorse per Roma sta a guardare e i lavoratori rischiano ogni giorno la propria incolumità. I referti medici delle pseudo-guardie sono numerosi. Tanto per fare un esempio, un anno fa uno di loro è stato portato d’urgenza in ospedale per una ferita al «padiglione auricolare destro e un trauma alla mano sinistra e al braccio». Era stato aggredito da alcuni nomadi che lo volevano “ringraziare” per il suo lavoro all’interno di quello che viene definito, con una buona dose di ironia, «villaggio della solidarietà». Eppure il ministero dell’Interno, interpellato dall’Associazione italiana di vigilanza, ha già avuto modo di ribadire che «le apparecchiature che gestiscono i segnali di allarme devono essere destinate esclusivamente alle guardie giurate» e che «in orario notturno e, comunque, al di fuori dell’orario di apertura al pubblico, la vigilanza è affidata alle guardie giurate».

Ma non finisce qui. Oltre al danno c’è pure la beffa. Nonostante questi operatori che dovrebbero garantire la sicurezza siano lasciati completamente soli, devono pure rispettare un codice alquanto singolare. Risorse per Roma, infatti, ha inviato ad ogni dipendente una «Procedura operativa». Alla voce «aspetto dell’operatore» si legge: «Curare la propria immagine nei minimi particolari così da apparire ancor più professionali e in linea con l’immagine aziendale. Capelli in ordine o raccolti, barba rasata o curata, divisa pulita e scarpe lucide». Ora viene da chiedersi: a cosa serve tenere la barba rasata quando si ha un nomade di fronte che ti minaccia con un coltello o una pistola? Come si può pretendere di tenere le scarpe lucide quando si è costretti a camminare in mezzo a montagne di rifiuti o quando si è alle prese con un alloggio dato alle fiamme?

http://www.iltempo.it/cronache/2014/06/10/presi-come-vigilantes-ma-trattati-come-colf-1.1259306

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