Furti, rapine, risse, paura: la dura notte dell’inferno metro

Cronaca

08 giugno 2014

Furti, rapine, risse, paura: la dura notte dell’inferno metro

I passeggeri: “troppa violenza”. Un vigilante: “quell’uomo la scorsa sera mi minacciò”.

di FEDERICA ANGELI

“Ma si rende conto che qui gli stranieri che vengono a fare i borseggi, ci fanno la pipì addosso come fanno i cani sugli alberi? A noi, che bene o male portiamo una divisa, che stiamo qui per mille euro, che abbiamo le mani legate e dobbiamo assistere ogni santissimo giorno a gente che scavalca senza pagare il biglietto, a prepotenze di ogni sorta, a furti, rapine, risse, gente ubriaca che improvvisamente cade a terra e vomita, si fa addosso i bisogni. Siamo soli, soli. Capisce? Siamo abbandonati da tutti, dimenticati in questa che ormai è diventata terra di nessuno”.

Non è tanto la voce del vigilante che ci fa entrare nell’inferno della linea A “Vittorio Emanuele”, fermata nel cuore dell’Esquilino che collega Anagnina a Battistini. Sono i suoi occhi chiari a denunciare una disperazione, una situazione destinata ad andare sempre peggio, una realtà che vive sottoterra e che, lontano dalla luce, si fa finta di non vedere. Anche se tutti sanno, anche se i più immaginano, anche se quell’inferno si scotta sotto i raggi del sole soltanto quando “ci scappa il morto”. Sono 23 i gradini che portano all’Ade. Solo ventitré gli scalini che separano la caotica piazza Vittorio dal mondo illuminato da neon che prende vita sottoterra. E che il moldavo di 52 anni venerdì notte sia morto per un malore o perché vittima di un pestaggio, nulla toglie e nulla aggiunge alla realtà underground che il vigilante ci sbatte in faccia con la potenza di un pugno. “Anzi sa che le dico? Che il degrado che i miei occhi vedono ogni santo giorno mi porta a non provare alcuna pena per quello straniero morto l’altra notte”. È solo la rabbia che fa parlare così il nostro vigilante Caronte, perché subito dopo corregge il tiro: “Non la scriva va quest’ultima cosa. Sono un padre di famiglia e non vorrei passare per quello che non sono. Ma cosa crede che vivere qua sotto non ti indurisca l’anima?”.

Le scene che accadono ventitre gradini sotto il viavai di piazza Vittorio sono sempre le stesse. A qualsiasi ora: dalle sette del mattino fino alle 23.30. I borseggiatori si appostano davanti le macchinette che vendono biglietti. Il turista apre il portafoglio per tirare fuori gli spiccioli e il ladro, con un complice, è lì che osserva. Quando il bottino è ricco non resta che seguire la vittima. Come? Scavalcando i tornelli da cui i passeggeri escono dalla metropolitana, al buon bisogno alzando il dito medio contro gli uomini della vigilanza che gli urlano dietro. Quindi gli scippatori scendono la scala mobile, pedinano il malcapitato turista e sulla banchina in attesa del metrò gli portano via tutto. Risalgono correndo, infilano i soldi dentro un marsupio e buttano per terra il portafoglio svuotato.

“Sa nel cassetto dentro a quel gabbiotto (il gabbiotto è quello dove i vigilantes sostano all’interno della stazione “Vittorio Emanuele”, ndr) quanti portafogli ci sono? Settanta. Trovati da noi in giro per la stazione in tre giorni. E sa quante, ma quante volte, siamo stati aggrediti da borseggiatori, zingari e branchi di ragazzini che vengono qui e si sentono padroni? Non le conto più”. Proprio tre giorni fa, lo stesso “manolesta” moldavo che venerdì notte è morto a pochi passi dalla scalinata d’uscita, ha aggredito un vigilante di quella stazione del metrò. Lo aveva sorpreso a infilare la mano nello zaino di una straniera, gli ha gridato contro e lui si è avvicinato con fare minaccioso. “Dai, mettimi le mani addosso se hai coraggio, toccami, menami, così le telecamere ti riprendono e finisci nei casini tu”. Questo gli ha detto. “Perché tanto a loro non accade nulla. Mai. E lo sanno. Lunedì scorso ho chiamato la polizia dopo che uno di loro aveva rapinato e spintonato una donna incinta. Sa cos’è accaduto? La polizia è arrivata, gli ha chiesto i documenti, gli ha fatto restituire la borsa alla donna e gli hanno detto di non farsi più vedere. Tempo due ore ed era di nuovo qui. Ma le sembra normale?”.

La guardia giurata che ieri, con lo sguardo arreso, ci ha dipinto quel mondo grigio che gli scorre davanti quotidianamente alla stazione Vittorio Emanuele, dopo l’aggressione da parte dello straniero, ha discusso col collega di turno. “Mi diceva, il mio collega: “Io non interverrò mai più. Ma chi ce lo fa fare? In fondo siamo pagati per vigilare sui beni immobili per contratto, non per fare le guardie ai ladri. Perché ci dobbiamo prendere responsabilità che non ci competono e magari finire in un guaio? Guarda che da qua sotto noi dobbiamo uscire quando finisce il turno, prendere la macchina e tornare dalle nostre famiglie. E se ci arriva una coltellata perché gli abbiamo impedito di fare il loro lavoro?”. Gli ho risposto che io gli occhi non li chiudo. E se vedo una donna o un turista in difficoltà, non posso restare senza far niente. Ma, detto tra noi, non è che ha tutti i torti. Mille euro ci pagano per stare qui a sopportare soprusi. Sa quanto guadagneranno al giorno gli scippatori, sui 20003000 euro. Rubano alla velocità del suono”.

Insomma le regole dei più forti scippatori e rissaioli vincono sempre in quel girone della metro A. Sono loro, lì sotto, a dettar legge. “Come quella volta che un ragazzino, avrà avuto quindici anni al massimo, m’ha sputato addosso dopo che era entrato senza pagare il biglietto. Siamo arrivati all’esagerazione. Non ci si può credere che io sia testimone di una tale inciviltà, di una tale sopraffazione da parte dell’illegalità. Eppure, così è”.

Quando Alemanno, prima delle elezioni a sindaco, visitò la stazione Vittorio Emanuele e chiese alla vigilanza di quel mondo, le guardie giurate gli raccontarono la verità. “Ma crede che quando ha vinto, quando si è seduto in Campidoglio, Alemanno si è ricordato delle nostre parole? Macché, noi continuiamo a prendere schiaffi da tutti e di questa stazione, come di tutte le altre, in particolare di quelle a cui è stata persino tolta la vigilanza, nessuno se ne occupa. Fino a quando non ci scappa il morto, appunto”. Il vigilante ci saluta e ci accompagna fino al primo gradino da cui si intravede un pezzo di cielo. Un passo e noi saremo fuori. Lui no, resta lì. Consapevole che, fino al prossimo morto, nessuno, né polizia, né giornalisti, né politici, si affaccerà nel suo mondo underground.

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Furti, rapine, risse, paura: la dura notte dell’inferno metroultima modifica: 2014-06-09T11:00:12+02:00da sagittario290