Da piccolo imprenditore a clochard

Cronaca

07 aprile 2014

Da piccolo imprenditore a clochard

Vito Monte, 58 anni, è costretto a vivere in macchina e a mantenersi con l’elemosina. Chiusa la ditta, ha esaurito i risparmi

di Cristina Genesin

Ha pagato le tasse per un’intera vita, prima da dipendente, poi da piccolo imprenditore. Ha versato 36 anni di contributi. Ha chiuso la sua ditta, di fronte all’impossibilità di fronteggiare la concorrenza con nuovi investimenti: le banche non erano disposte ad accendere prestiti o fidi. Ora, senza un soldo, senza uno stipendio e senza una casa, si ritrova a vivere in mezzo alla strada Vito Monte, classe 1955, originario di Partanna nel Trapanese, padovano d’adozione da più di quarant’anni.

Da venerdì scorso l’auto di proprietà, una Ford Focus vecchio modello, è tornata a essere la sua “casa”. Una “casa” a motore sempre spento (non ha soldi per la benzina e l’assicurazione è scaduta) in perenne sosta nel parcheggio del supermercato Alì, tra le vie Carlo Alberto Diano e slargo Gardenia, giusto tra il confine di Padova, nel quartiere Guizza, e di Sant’Agostino di Albignasego. Lo scorso dicembre, per pochi giorni, era nella stessa situazione. Poi il passaparola e un articolo sul Mattino si erano tradotti in vitto e alloggio gratuiti offerti da una famiglia che aveva temporanea necessità di un aiuto in casa. «Me ne sono andato spontaneamente anche se mi avevano invitato a restare: la famiglia era in difficoltà e una persona in più pesa sul bilancio familiare… Non mi è rimasto che tornare qui» racconta il signor Vito, nonostante tutto curato nell’aspetto perché, se di fatto è un “senzatetto”, vuole difendere a ogni costo la propria dignità di persona. «Mio padre lavorava all’Enel e nel 1971 ottenne il trasferimento a Padova» spiega, «Ho preso il diploma di ragioniere, poi nel 1977 ho trovato lavoro come vigilante alla Civis, poi alla San Marco di Mestre, infine alla Cooperativa Vigilanza Privata di Marghera dove rimasi fino al 1994. L’azienda andava male, gli ultimi stipendi ancora mi spettano come la liquidazione…». Vito non si perde d’animo e trova un altro posto, stavolta nel commerciale, vendendo macchinette e caffè per aziende. Nel 2004 la scelta di mettersi in proprio. «Apro una piccola impresa a Vigodarzere nello stesso settore, assumo anche cinque dipendenti» rammenta. «All’inizio tutto sembra andare bene poi, tra crisi e concorrenza, non riesco più a far tornare i conti» ammette. Vuole evitare il fallimento: paga i debitori e chiude tutto. «Ho sempre saldato i conti: con i fornitori, i dipendenti e lo Stato. Con quel che mi è rimasto mi sono trasferito in affitto a Legnaro nel 2011… Sempre cercando un’altra occupazione che non è mai arrivata. A un certo punto i soldi messi da parte sono finiti e il proprietario della casa mi ha intimato lo sfratto perché non riuscivo più a pagare l’affitto di 670 euro al mese. Alla fine lo sfratto è diventato esecutivo: l’ufficiale giudiziario me lo ha notificato due volte. Alla terza, mi aveva informato, sarebbe arrivato accompagnato dalla forza pubblica… È umiliante essere cacciati di casa, almeno lasciatemi la dignità: per questa ragione ho preferito andarmene e sono finito a vivere in macchina».

E dal Comune? Promesse. «Non ho moglie, figli o parenti. Vivo solo e risulto con zero punti in graduatoria. La casa popolare? “Ci sono un centinaio di famiglie prima di lei”, è stata la risposta».

Il cuore è gonfio di amarezza e delusione. Per la rabbia, non c’è nemmeno più posto. Vito, alle spalle 13 anni di volontariato alla Croce Rossa, ha trovato solidarietà umana in quel quartiere residenziale: «C’è una famiglia che mi porta pasti caldi, altri che mi danno qualche soldo per comprare un panino. In un supermercato c’è il bagno… Perfino una pattuglia della polstrada ha evitato di controllare la macchina che non uso… È ripartita, salvo tornare subito indietro. “Gli agenti hanno cambiato idea e ora mi multeranno”, ho pensato… Macchè: un poliziotto ha tirato fuori venti euro e me li ha donati». Se la Ford fosse stata sequestrata, Vito confessa: «Mi sarei buttato in canale… Dove vado a dormire?». Non si può vivere di carità. Non si può vivere da clochard dopo una vita fatta di fatica e lavoro. «Tieni duro, stringi i denti fin che ce la fai perché a tutti piace la vita… Eppure ci sono momenti in cui il cervello s’ingrippa quando ti vedi ridotto così… Trovandomi in strada, per la prima volta, mi sono dato gli schiaffi in faccia. Non capivo: era vero o stavo sognando?… Prima avevo cinque dipendenti e ora mi ritrovo a chiedere l’elemosina».

“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” si legge nell’articolo 1 della Costituzione. Ecco che cosa chiede Vito Monte: che quell’articolo valga anche per lui. Perché pure lui, a 58 anni, reclama il diritto di poter ancora lavorare. Per contattarlo 327.5830997327.5830997.

http://mattinopadova.gelocal.it/cronaca/2014/04/07/news/da-piccolo-imprenditore-a-clochard-1.9000842

Da piccolo imprenditore a clochardultima modifica: 2014-04-08T11:15:02+02:00da sagittario290