Non uccisero vigilante ad Apricena: assolti in appello

Cronaca

20 Marzo 2014

Non uccisero vigilante ad Apricena: assolti in appello

FOGGIA – Ribaltata in corte d’assise d’appello a Bari la condanna a 26 anni di reclusione a testa, sono stati assolti dall’accusa di omicidio e virtualmente scarcerati (restano infatti detenuti per altra causa) Salvatore Di Summa, 44 anni di Poggio Imperiale e Luigi Martello, quarantenne di Apricena. Sono accusati dell’omicidio di Andrea Niro, 41 anni, anche lui apricenese, la guardia giurata ammazzata a colpi di pistola nella sede della cooperativa «Falco» di Apricena il pomeriggio del 27 settembre del 2011: il movente del delitto, al di là dell’ipotesi iniziale di un litigio tra la vittima e un parente di Di Summa, non è stato mai accertato. Il sostituto procuratore generale aveva chiesto la conferma della sentenza di condanna emessa dalla corte d’assise di Foggia l’11 aprile del 2013, sia pure con una lieve riduzione di pena – da 26 a 25 anni di reclusione – per i due imputati, ritenendo che nel computo del calcolo ci fosse stato un piccolo errore. Richiesta di condanna ribadita dai familiari della vittima, costituitisi parte civile con gli avvocati Pierluigi Favino e Franco Metta. I difensori – gli avvocati Ettore Censano, Raul Pellegrini e Raffaele Quarta – hanno insistito per l’assoluzione. Di Summa e Martello, che furono arrestati dai carabinieri poche ore dopo l’omicidio Niro. I due restano in cella, in quanto in attesa di giudizio nel blitz antidroga «Terranova» che scattò all’alba dell’11 aprile di un anno fa quando, proprio nel giorno della sentenza e condanna di primo grado per l’omicidio, si videro notificare in cella le ordinanze di custodia cautelare.

Andrea Niro era nella sede della cooperativa di vigilanza «Il Falco» in via Principessa Mafalda quando nel tardo pomeriggio del 27 settembre del 2011 davanti al locale arrivò un’auto scura di grossa cilindrata con a bordo due persone: una, col volto coperto da un passamontagna nero e vestita di scuro, entrò e sparò con una pistola uccidendo Niro. Secondo i carabinieri e la Procura di Lucera a sparare fu Martello, mentre Salvatore Di Summa guidava l’auto, una «Audi»: i due presunti assassini furono fermati poco dopo, sulla scorta della dichiarazione di un testimone che disse d’aver saputo da un familiare che a sparare era stato Martello mentre Di Summa lo attendeva in auto. Inizialmente si ipotizzò, quale movente del delitto, un litigio tra la vittima e un parente di Di Summa, che si sarebbe quindi vendicato; movente che però non ha poi trovato conferma nel prosieguo delle indagini, tant’è che nel motivare il verdetto di condanna di primo grado i giudici foggiani dissero che sulla causale dell’omicidio non c’erano certezze.

Nel processo di primo grado il presunto testimone oculare ribadì quanto già detto nell’immediatezza del fatto: non aveva riconosciuto gli assassini e quindi non poteva aver riferito nulla al familiare; quest’ultimo, in aula, sostenne invece di non aver mai riferito d’aver saputo chi fossero gli assassini contrariamente a quanto affermato il giorno del delitto davanti ai carabinieri. Se in primo grado i giudici avevano ritenuto di acquisire le dichiarazioni rese durante le indagini preliminari valorizzando la dichiarazione del testimone «de relato», in appello i difensori hanno sostenuto che quelle dichiarazioni non potevano essere acquisite perchè non c’era prova di alcuna minaccia, e che si trattava comunque di dichiarazioni «de relato», cioè riferite da chi sosteneva di aver appreso una circostanza da un’altra persona che peraltro la negava. A questo si aggiunga che non c’è alcun movente che colleghi gli imputati alla vittima.

Tra l’altro – ha aggiunto l’avv. Pellegrini – i due imputati avevano un alibi per l’ora del delitto fornito dagli stessi carabinieri: a dire del legale l’omicidio di Niro avvenne alle 18.20 perchè a quell’ora giunse una telefonata al «112» che segnalava l’esplosione di colpi d’arma da fuoco, e proprio a quell’ora i carabinieri incrociavano in corso Roma l’«Audi» con a bordo Di Summa e Martello: se erano in corso Roma come attestato dai carabinieri – la tesi difensiva – i due imputati non potevano essere gli assassini. Solo nei prossimi mesi verranno depositate le motivazioni della sentenza d’assoluzione, e si verificherà se la Procura generale farà ricorso in Cassazione contro il verdetto.

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