Pirateria marittima: anche Italia dà via libera all’utilizzo guardie…

LiberoReporter

Cronaca

31/mar/2013‎

Pirateria marittima: anche Italia dà via libera all’utilizzo guardie armate private a difesa mercantili

nmp-fonte-marina-militare.jpgTra non molto anche l’Italia ricorrerà alle guardie giurate armate a difesa dei mercantili di bandiera. Di fatto si apre la via che condurrà allo ‘sbarco’ dei militari dai mercantili di bandiera. Il 29 marzo scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n 75 il Decreto del Ministero dell’interno datato 28 dicembre 2012, n. 266. Si tratta del regolamento che determina le modalità attuative dell’articolo 5, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge 12 luglio 2011, n.107, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130 e successive modificazioni. Questo regolamento riguarda il ricorso all’impiego di guardie giurate a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana, che transitano in acque internazionali a rischio pirateria. Il provvedimento entrerà in vigore il 13 aprile prossimo. Undici gli articoli. Nel testo sono determinate le modalità per l’acquisto, l’imbarco, lo sbarco, il porto, il trasporto e l’utilizzo delle armi e del relativo munizionamento, nonchè i rapporti tra le guardie giurate e il comandante delle navi. In questo modo si è dunque cercato di correre ai ripari cercando di mettere in atto un decreto per imbarcare personale armato privato munito però, di relative e comprovate pari capacità e competenze dei militari italiani, come ha fatto per esempio la Spagna. Fino ad oggi in virtù della normativa vigente in Italia, la legge 130 del 2011 e il successivo protocollo d’intesa siglato nell’ottobre del 2011 tra Marina Militare e Confederazione Armatori italiani, CONFITARMA, che disciplina le attività di scorta armata che è dichiaratamente di contrasto alla pirateria marittima, l’Italia, a difesa delle sue navi commerciali che devono attraversare le aree infestate dai predoni del mare, poteva ricorrere solo a team di sicurezza armati militari. Purtroppo la legge 130, una legge fortemente voluta da una parte del Parlamento, il Pdl ha presentato, nel corso degli anni, ben tre disegni di legge in merito, e dagli Armatori italiani, è nata incompleta e fatta male. Una legge italiana che ha coinvolto i militari della Marina in una dinamica di ‘sicurezza sussidiaria’ che è invece, più adatta ad un privato che lavora per un altro privato. Alla fine attraverso essa si è solo permesso agli Armatori italiani di poter ‘affittare’ i militari della marina per difendere i loro interessi e null’altro. Addirittura al momento del varo, nell’ottobre del 2011, della difesa dagli attacchi pirati delle navi italiane con i militari attraverso i Nuclei Militari di Protezione, NMP, nessuno si è preoccupato dell’assenza di garanzie per i militari della marina ‘affittati’ agli Armatori e che si imbarcavano su una nave commerciale. L’idea di poter ricorrere all’impiego di guardie armate private in operazioni di scorta ai mercantili italiani è stata però, da sempre accarezzata da tanti. A favore di questa idea si è schierata apertamente CONFITARMA che per bocca del suo presidente Paolo D’Amico intervenendo un po’ di tempo fa al convegno ‘Shipping and the law’ a Napoli aveva ribadito la necessità di aprire anche ai privati nella difesa delle navi commerciali italiane dai pirati. Le motivazioni esposte da D’Amico erano state che i privati sono necessari in quanto i militari non potevano rispondere a tutte le richieste degli Armatori. In questi giorni è stato reso noto un documento della Marina Militare italiana che pare lo smentisca. Si tratta del ‘Rapporto 2012’ relativo proprio all’impiego dei team di sicurezza militari a bordo delle navi battenti il tricolore. Nel rapporto si legge che i militari della marina del Reggimento San Marco, dalla fine del 2011, sono impiegati a bordo delle navi commerciali italiane come team di sicurezza armati denominati ‘Nuclei Militari di protezione’, NMP, allo scopo di difenderle dagli attacchi pirati grazie ad una legge, la 130 del 2011. Nel 2012, secondo il rapporto, gli NMP impiegati in compiti di antipirateria a bordo delle navi commerciali di bandiera sono stati ben 15. Nuclei che sono assegnati alle navi che devono viaggiare in zone a rischio pirateria marittima su richiesta del loro Armatore. Per ogni nucleo l’Armatore paga ben 3mila euro al giorno, circa 500 euro a militare. Di questi 15 almeno 10 team hanno assicurato una presenza continuativa nelle aree infestate da pirati somali. Soddisfacendo almeno l’80% delle richieste degli Armatori. Secondo il documento sono state compiute oltre 150 missioni di scorta e sono stati sventati anche numerosi attacchi pirati ai mercantili italiani. Non ultimo il 14 marzo scorso nel Golfo di Aden. Comunque sia il fenomeno della pirateria marittima è uno dei principali mali che colpisce il mare del Corno d’Africa e Oceano Indiano. In queste acque corre l’importante rotta che collega l’Asia all’Europa e lungo la quale ogni anno transitano almeno 40mila navi di diverse nazionalità di cui almeno 2mila sono italiane. Dal 2005 al 2012 i pirati somali hanno attaccato ben 41 navi italiane, di cui 4 sono state sequestrate. Per difendere tutte queste navi dai predoni del mare a livello internazionale si è tentata la via militare. Dal 2008 sono state dispiegate, in quei mari, navi da guerra di diverse nazionalità per contrastare il fenomeno della pirateria marittima. I risultati sono stati poco proficui. Nell’estate del 2011 poi, è ‘esploso’ il ricorso ai team di sicurezza per la difesa armata delle navi dimostratosi invece, un valido deterrente. Al solo vederli a bordo delle navi i pirati somali cambiano rotta in cerca di ‘prede’ più facili da catturare o meglio ‘indifese’. Un fatto questo, che ha portato, almeno al largo della Somalia, a far registrare un regredire del fenomeno. Il problema di fondo per tutti i Paesi che hanno deciso di ricorrere alla difesa armata delle loro navi commerciali è stato uno solo. I governi dei vari Paesi, tra cui l’Italia, hanno dovuto decidere se autorizzare o meno il ricorso a team di sicurezza armati e se affidare tale servizio ad una società di sicurezza privata o ai propri militari attivi. In Europa, il Belgio è stato il primo Paese a ricorrere alla difesa armata delle sue navi commerciali. Nel maggio del 2009 i militari della marina belga sono stati autorizzati ad essere imbarcati sulle navi di bandiera ed è stato stabilito che gli Armatori avrebbero dovuto pagare per questo servizio. La stessa scelta è stata poi, seguita successivamente dalla Francia e nel 2011 anche dall’Italia. Altri Paesi europei invece, come Spagna, Germania e Gran Bretagna hanno deciso di ricorrere ai ‘Security Contractor’. Si tratta di guardie private, in genere ex militari delle forze speciali dei vari eserciti del mondo, in particolare USA e Gran Bretagna, che lavorano per conto di un privato, una società di sicurezza. La Spagna ha voluto anche mettere dei paletti stabilendo che il servizio può essere fornito solo da società spagnole, registrate presso il ministero degli Interni e con particolari autorizzazioni. Un modo questo per evitare possibili eccessi o altro da parte dei privati che di certo, rispetto ai militari, devono sottostare a regole meno rigide. Di fatto si tratta di un modo per avere, anche se parzialmente, un controllo su questi team di sicurezza armati privati. Cosa che non è necessaria se i team sono composti da militari attivi che rispondono ad una gerarchia mentre, i privati a chi li paga ossia gli Armatori. Nel resto del mondo il ricorso ai team di sicurezza armati è stato adottato da tantissimi altri Paesi come Stati Uniti, Tanzania, Giappone, Sudafrica, India e tanti altri ancora. Quasi sempre sono stati preferiti i privati ai militari. Questo, molto probabilmente, perché alla base del rapporto che si stabilisce tra società di sicurezza-Armatore vi è un rapporto di lavoro tra soggetti privati e che non implica quindi, coinvolgimenti dello stato a cui appartengono le guardie armate, mentre non sarebbe lo stesso nel caso di militari attivi che di fatto sono funzionari dello stato che si troverebbero a lavorare per dei privati. In Italia però, sussisteva un problema. La difficoltà era quella di dover adeguare l’impiego dei team di sicurezza armati per difesa delle navi commerciali di bandiera a tutti. Fin dall’inizio questi team sono stati composti da soli militari attivi, e in particolare dai marò del Reggimento San Marco. Un compito, quello dell’accompagnamenti militare dei mercantili di bandiera, che è stato però, messo sempre più a rischio da alcune situazioni che venendosi a creare hanno messo fortemente in discussione l’azione anti pirateria marittima che questi team svolgono. Nei fatti, per una sua palese ambiguità, la 130 del 2011 nella parte che riguarda la catena di comando a bordo delle navi commerciali su cui sono imbarcati i team di scorta armata militari e che riguarda soprattutto la responsabilità nel prendere le decisioni, ha dato vita ad una interminabile e indefinibile situazione che oggi è significativamente indicata da molti come il ‘caso Marò’. Questa legge prevede che la scorta armata possa essere espletata ricorrendo sia all’impiego di militari sia all’impiego di guardie private armate. Purtroppo in Italia, almeno fino ad oggi, era possibile solo il ricorso ai militari perché la normativa vigente non prevede che guardie private potessero essere imbarcate armate a bordo di navi commerciali di bandiera. Un fatto di cui il legislatore non aveva tenuto conto nello scrivere la 130 del 2011 e che alla fine si è rivelato un boomerang per chi invece, aveva promossa questa legge per poter far imbarcare dei team di sicurezza privati a bordo delle navi commerciali italiane. Questo per il fatto che forse i privati sono più ‘concedenti’ dei militari. Ora l’ostacolo è stato superato e presto si potrà verificare la validità delle ragioni esposte finora da chi voleva i privati anziché i militari a difesa delle navi commerciali di bandiera.

Ferdinando Pelliccia

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