Vigilanza, dobbiamo ancora creare il campione nazionale italiano

Attualità

06.07.2012

Vigilanza, dobbiamo ancora creare il campione nazionale italiano

phpThumb_generated_thumbnailjpg.jpgItalo Soncini, presidente e Ceo di Ivri, ha concesso un intervista esclusiva ad Essecome per tracciare il quadro della situazione della vigilanza in Italia a due mesi dall’entrata in vigore del DM 269.

Dottor Soncini, lei è arrivato alla guida di IVRI, il principale gruppo di vigilanza privata italiano, dall’inizio del 2011, dopo un percorso di importanti esperienze in campo industriale e finanziario. Qual è la sua visione di questo settore?

Parto da una valutazione del mercato, ponendo una domanda: sappiamo quali sono le esigenze del cliente? I grandi clienti (banche, complessi industriali, PA) manifestano esigenze chiare e definite ma non sanno ancora ricercare risposte integrate per ottimizzare i servizi: ad esempio in banca i servizi di vigilanza vengono trattati dagli uffici acquisti, il trasporto valori dalla cassa centrali; le PMI fanno solo acquisti “basic” senza alcuna visione strategica; small business e privati acquistano solo l’impianto di allarme cercando di risparmiare il più possibile, senza pensare al collegamento con gli istituti di vigilanza. Dalla parte dell’offerta, salvo pochissime eccezioni gli operatori sono ancora vincolati a logiche vecchie, cercando di lucrare sul body rental senza preoccuparsi delle esigenze reali del cliente. L’integrazione con le tecnologie è solitamente attuata in modo artigianale, dando vita a piccole realtà interne che non sono in grado di cogliere gli stimoli evolutivi apportati dai grandi operatori autonomi, che si muovono anche a livello intenazionale.

In Inghilterra stanno affidando alle security companies addirittura le attività di polizia. Quali sono le sue previsioni sul mercato dei grandi servizi di sicurezza affidati ai privati?

Oltre all’Inghilterra, anche in Spagna il nostro socio Prosegur effettua servizi di pubblica sicurezza come, ad esempio, le scorte personali. Tranne le più alte cariche dello stato ed i magistrati a rischio, in Spagna la protezione alle persone viene effettuata dalle imprese private. Il problema è il gap dimensionale e culturale delle imprese di sicurezza italiane rispetto a quelle straniere: i servizi in outsourcing dallo Stato presuppongono strutture di dimensioni rilevanti (es. G4S che ha ricavi per 7,5 miliardi di sterline), e la presenza su tutto il territorio nazionale; in Italia ad oggi non esistono ancora operatori con queste caratteristiche.

Qual è il ruolo dei fondi private equity in questo scenario, e qual’è la situazione in questo momento?

Siamo entrati in una fase di stallo sostanziale: i due principali attori, 21 Investimenti e Stirling, si erano parlati per un possibile merger ma, in questo momento, non stanno più parlando. Sul mercato non si vedono target aggregabili perché, in genere, le aziende padronali che hanno raggiunto dimensioni significative hanno consolidato entità inidonee per un fondo, come le cooperative di servizi. Le altre due recenti operazioni di ingresso di fondi (ndr: Allsystem e La Patria) sembrano più impostate a sostenere piani di crescita tattici che a sviluppare grandi progetti; i rispettivi imprenditori, del resto, non paiono disponibili ad vendere le loro aziende né in grado di acquistare IVRI o Axitea per far nascere un campione nazionale. Gli investitori esteri al momento non intendono entrare in Italia per il rischio sistemico che viene ancora attribuito al nostro paese; dall’altra parte, non è realistico pensare che operatori italiani possano investire all’estero in modo significativo.

IVRI è entrato in ASSIV quasi un anno fa. Quali sono le sue aspettative per l’attività dell’associazione?

Premesso che ASSIV è Confindustria e la ritengo l’unica associazione di questo settore in Italia, essendo tutte le altre solamente espressioni di singoli gruppi imprenditoriali, sostengo che l’associazione di categoria dovrà assumere, nel tempo, il ruolo di “autority” privata, con una funzione di controllo sul territorio e di stimolo nei confronti delle Autorità tutorie sul rispetto del DM 269, proponendo sanzioni nei confronti dei trasgressori. il modello di riferimento dovrebbe essere quello della BSIA (British Security Industry Association), per la quale i pre- requisiti di adesione corrispondono ai requisiti previsti dalla legge per poter esercitare l’attività: in tal modo, le verifiche ed i controlli sul rispetto delle regole sono demandati ad una autority privata, più attenta a tutelare gli operatori che quelle regole le rispettano.

A cura di Raffaello Juvara

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