Cronaca
11 marzo 2012
Rapina fallita alla Fitist, preso il quinto uomo
Colpo del secolo in fumo
Fermato il presunto basista. E scatta anche una denuncia: l’inchiesta si allarga
di Benedetta Iacomucci
SULLE generalità dei due presunti complici gli investigatori mantengono il più stretto riserbo, ma in base a indiscrezioni nella rete sarebbe finito un civitanovese, dipendente di una ditta di vigilanza che con la Fitist aveva rapporti di lavoro costanti: una persona, insomma, che pur non lavorando direttamente alle dipendenze della società jesina, avrebbe avuto una buona conoscenza dei suoi meccanismi interni, tali da permettergli di collaborare con la banda fornendo indicazioni preziose e, forse, pure il badge d’ingresso.
INDICAZIONI che, in effetti, sembravano aver sortito l’effetto sperato, al punto che i rapinatori erano già riusciti a caricare circa 35 milioni di euro a bordo di due furgoni Fiat della stessa Fitist, con i quali erano sul punto di scappare quando si sono visti davanti dieci auto di polizia e carabinieri con le mitragliette spianate. Il primo ad essere arrestato è stato Attilio Clementi, 53 anni, pluripregiudicato di Guidonia: si stava allontanando — armato di pistola scacciacani del tipo beretta 92 — a bordo del furgone carico di 19 milioni di euro. Poi è toccato agli altri tre — Giuseppino Coppola, 48 anni, di Pomezia, Massimo Morresi, 49, di Castel Madama, Maurizio Meucci, 54 anni, di Tivoli — i quali, scesi dal secondo furgone carico di altri 18 milioni di euro, sono stati accerchiati all’esterno del caveau. Ora si trovano nelle carceri di Montacuto e Fermo. Domani è prevista l’udienza di convalida.
FONDAMENTALE, all’esito delle indagini coordinate dal sostituto procuratore Andrea Belli, è stata la collaborazione con gli agenti della polizia di Roma, che ben conoscevano i quattro banditi, tutti con numerosi precedenti penali. I quattro, che secondo gli investigatori potrebbero far parte di una banda specializzata negli assalti a portavalori, si erano coperti il volto con maschere di Oscar Luigi Scalfaro e Massimo D’Alema. Poi avevano immobilizzato i tre metronotte presenti in azienda, minacciando di farli saltare in aria se avessero tentato di dare l’allarme.