Cileno ucciso, la verità dai verbali

Cronaca

(18 febbraio 2012)

IL CASO

Cileno ucciso, la verità dai verbali
I vigili: “Non abbiamo visto armi”

Ecco cosa hanno raccontato ai magistrati i colleghi di Amigoni, l’agente della polizia locale che ha sparato al Parco Lambro. “La vittima colpita a una distanza tra i cinque e i dieci metri. Faceva fatica a respirare e gli abbiamo tolto le manette”

di DAVIDE CARLUCCI e SANDRO DE RICCARDIS

215515197-b890c334-2b77-4f89-aa31-7ca0960f5331.jpg«Quando ho raggiunto Amigoni – dice M.D.Z, il vigile più vicino al collega che spara – abbiamo provveduto a rianimare il soggetto e lo abbiamo accompagnato verso l’auto. Mi sono accorto che aveva difficoltà a camminare e respirare. Una volta giunto all’auto, ho visto che la respirazione era sempre più difficoltosa, così decisi di togliergli le manette». Sono i primi momenti dopo lo sparo. Solo allora, l’agente e Amigoni capiscono che il cileno è ferito gravemente. «Lo hai preso?», dice il vigile. «Chiama subito un’ambulanza», risponde Amigoni.

Il racconto di M.D.Z., 35 anni, vigile in servizio presso il comando di zona 1, è quello più vicino ai fatti. «Noi li abbiamo inseguiti e quando li abbiamo raggiunti, a circa due tre metri di distanza, l’autista della Seat ha frenato bruscamente e ovviamente lo stesso ha fatto il nostro autista, ma la distanza era talmente breve che non è stato possibile evitare di tamponarli. Siamo scesi dall’auto prima i due colleghi che occupavano i posti anteriore destro e posteriore destro, cioè l’agente Alessandro Amigoni e l’agente P.R. e subito dopo gli alti due. Appena sceso dall’auto ho sentito l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco, non ho visto chi lo avesse esploso, ma ho notato che uno dei due occupanti della Seat, che si era da poco dato alla fuga col compagno, è inciampato ed è caduto a terra. Sopra di lui è inciampato anche il collega Amigoni».

Un altro vigile, P.P.R., 25 anni, ricorda le fasi dell’inseguimento. «Ho udito Amigoni urlare ai due fuggitivi “Fermo, polizia!”. Al momento mi trovavo dietro i miei colleghi, ho udito un botto e subito dopo ho visto il secondo fuggitivo cadere a terra». Il verbale che rilasciano i tre vigili che erano nell’auto di pattuglia una Renault Mégane con il collega ora indagato per omicidio, danno alla procura una ricostruzione coerente, che smentisce Amigoni. Nessuno dei suoi colleghi, infatti, vede un’arma in mano ai cileni. Tutti gli agenti sono concordi nel ricordare un solo sparo. Raccontano di un colpo partito appena Amigoni scende dell’auto, a una distanza tra i cinque e i dieci metri dalla vittima. Solo una vigilessa di quartiere ricorda due spari. E aggiunge: «Uno dei due colleghi mi è venuto incontro e io gli ho chiesto, visto che uno era riuscito ad allontanarsi, se mi dava qualche indicazione su come era vestito, di che nazionalità era. Il collega mi ha detto che indossava un giubbotto nero e forse era slavo».

La versione di Amigoni.
«Nell’inseguimento eravamo in quattro – dice il vigile – e io ero quello più avanti di tutti. A un certo punto, quello più in vantaggio dei due si gira verso destra con un’arma in mano puntandola verso di noi. Preciso che non ho visto il momento esatto in cui estraeva l’arma ma ho notato distintamente che questi si girava con l’arma puntata verso di noi con la mano destra». Amigoni parla di una «distanza stimata in dieci, quindici metri», di «una semiautomatica di colore nero». «Ho estratto a mia volta l’arma solo dopo aver visto quella impugnata dal fuggitivo continua . Ho incamerato il colpo in canna e ho fatto fuoco a scopo intimidatorio sparando sulla mia sinistra contro un terrapieno per non creare pericolo per nessuno, a circa venti metri rispetto al corpo della persona più esterna».

Nessuno dei colleghi vede la pistola.
N.C., autista della pattuglia che arriva in via Sangro, al parco Lambro, ricorda che «quello più avanti dei due (cileni) si è girato una volta per guardarci. È stato in quel momento che ho sentito uno sparo, un colpo secco. Ho avuto la sensazione che fosse stato quello più avanti dei fuggitivi a sparare» perché ho pensato che il colpo fosse diverso dalle nostre armi, come se fosse a salve o difettato. Non ho mai sentito le nostre armi sparare all’aperto. Ho avuto la sensazione successiva allo sparo che il fuggitivo più lontano avesse qualcosa nella mano destra. Si è trattato di un impressione avuta un quel momento, come se avesse una canna lunga che gli sporgeva dalla mano. Sono sicuro che il braccio fosse lungo il corpo, durante la corsa è stato sempre aderente al corpo». Il giorno dopo sentito direttamente dal pm Roberto Pellicano, N. C. precisa ancora: «No, non ho visto armi, ne ho desunto il possesso dal fato che il rumore che ho sentito non era associabile alle nostre armi». Il ricordo di P. P. R., altro vigile sul luogo della tragedia, è ancora più netto: «Non ho visto in mano dei due fuggitivi armi». Anche l’agente M. D. Z. non vede armi: «Dalla posizione in cui mi trovavo, non riuscivo a notare se i due impugnassero armi».

La seconda arma sulla scena.
Proprio l’agente M. D. Z. ammette di aver tirato fuori anche lui l’arma d’ordinanza. «Io avevo l’arma in pugno. L’avevo sfoderata durante la corsa dell’auto, iniziando quindi l’inseguimento con l’arma in pugno, ma senza incamerare il corpo in canna. L’inseguimento, dal momento in cui siamo scesi dalla macchina e fino a quando il soggetto è caduto subito dopo l’esplosione del colpo, è durato pochissimo».

Meno di dieci metri di distanza.
In un intervallo così breve tra l’inizio dell’inseguimento e lo sparo, anche la distanza dai due cileni, nei racconti dei vigili, è tra i sette e i dieci metri. Dice l’agente M.D.Z.: «Al momento in cui ho sentito la detonazione, Amigoni si trovava a breve distanza dal soggetto che è caduto, ritengo potessero essere circa sette metri. Proprio a ragione della vicinanza l’Amigoni che correva a forte velocità verso questo soggetto non è riuscito a contenere la corsa ed è a sua volta inciampato sul corpo di quest’ultimo. Durante la brevissima corsa non ho avuto assolutamente visto l’individuo caduto girarsi verso di noi e tanto meno l’ho visto impugnare armi». Diverso è il racconto di Amigoni. «Dopo il colpo non ho realizzato che uno dei due fosse stato colpito, perché entrambi hanno proseguito la corsa e la persona disarmata si è girata verso di me inciampando e cadendo al suolo. Ho visto chiaramente che questi cadeva a terra arrestandosi con la schiena sul terreno e il viso rivolto verso l’alto, dopo aver battuto il capo al suolo. Appena arrivato verso di lui, mi ha tirato un calcio sullo stinco destro facendomi cadere».

Le esercitazioni al poligono.
Amigoni, ex guardia giurata, ammette di aver sparato una sola volta per esercitarsi. «Ho ripreso il porto d’armi da ultimo tre anni fa. So che è obbligatorio esercitarsi al poligono per tre volte l’anno nella Polizia Locale di Milano ma da quando sono qui a Milano, dicembre 2010, ho sparato solo una volta».

La cartuccia mancante.
Gli investigatori controllano le armi di tutti gli agenti intervenuti al Parco Lambro. Anche la Beretta calibro 9×21 di N. C., autista della pattuglia intervenuta. «Il mio comando mi ha fornito la pistola d’ordinanza, due caricatori e trenta cartucce. La cartuccia che manca è probabile che sia in qualche tasca dei vari giubbotti che uso per lavorare. Non tengo mai il colpo in canna». Il teste telefona a casa per far cercare alla moglie la cartuccia mancante che però non viene trovata.

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Cileno ucciso, la verità dai verbaliultima modifica: 2012-02-19T10:45:00+01:00da sagittario290