Morte al porto, in cella le guardie giurate

Cronaca

Martedì 27 Dicembre 2011 – 09:54

Morte al porto, in cella le guardie giurate
«Stefano vittima di belve senza umanità»

di Anna Maria Boniello

20111227_feder.jpgCAPRI – «Stefano per noi è morto per la seconda volta», dice affranto Gino Federico, il padre del giovane caprese ucciso brutalmente il 16 gennaio 2011 senza motivo nei pressi del molo Calata di Massa. Nel ricordo degli amici, un folto gruppo di giovani capresi, e in quello dei suoi familiari – i genitori Gino e Teodolinda, i fratelli Marco e Albino e la fidanzata Ilaria – resteranno impresse per sempre le immagini di Stefano, un ragazzo colto, che conosceva e parlava quattro lingue, che nel lontano Giappone, terra che amava come la sua seconda patria, aveva imparato la difficile arte degli origami, piccole creazioni di carta che Stefano regalava ai suoi amici come un suo personale ricordo.

Il 32enne caprese che aveva girato il mondo, vivendo a lungo in Francia, Giappone e Inghilterra, componeva poesie, alcune anche in lingua giapponese, che aveva imparato da autodidatta, praticava l’aikido, l’arte marziale che abitua ad allenare la mente e il corpo e a rimanere onesti e sinceri. Del Giappone amava la cultura, la storia, la filosofia della vita e la grande spiritualità orientale. Lavorava all’hotel Vesuvio a Napoli, a Capri era stato impiegato al Quisisana, al Capri Palace e alla Fayette a Parigi e a Londra.

A distanza di un anno dalla morte di quel giovane dagli occhi sorridenti e dal sorriso dolce uscirà a breve un libro che suo padre stava preparando, prima di apprendere la tremenda notizia che suo figlio era stato brutalmente ucciso. La pubblicazione di quel libro, invece, avverrà il prossimo mese di gennaio, in occasione del primo anniversario della sua scomparsa. Si intitolerà «Stefano Federico – la mia vita» e verrà tradotto in inglese, francese e giapponese da amici di famiglia. Stefano proveniva da una famiglia molto stimata a Capri. Suo padre aveva lavorato in banca fino alla pensione e suo fratello Marco, il primogenito, è un brillante avvocato penalista, mentre Albino, il più piccolo, si è da poco laureato in archeologia.

«Spero che Dio ci darà la forza per andare avanti», dice costernato il padre non appena ha appreso dell’arresto dei vigilantes. «Una notizia – sottolinea Gino Federico – che mi ha lasciato atterrito. Mio figlio è stato massacrato senza ragione e senza pietà da belve sanguinarie, un branco che ha disonorato la divisa che indossava e che ha poi cercato vigliaccamente di depistare le indagini con la storiella dell’infarto improvviso. Mi chiedo come fanno, dopo quello che è accaduto, a guardare negli occhi i propri cari e i loro figli».

«Questo mio amatissimo figlio – aggiunge affranto Gino Federico – è capitato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e soprattutto ha incontrato le persone sbagliate».

E sulla svolta delle indagini, che è stata possibile grazie alla testimonianza di un marittimo, alla meticolosità del dirigente della polizia marittima e all’inchiesta che fin dai primi momenti era stata aperta dalla Procura di Napoli, il padre della vittima dichiara: «L’altruismo e la serietà di questi due esemplari cittadini, il testimone del vile pestaggio e il primo dirigente della polizia di Stato Silvestro Cambria, fanno sì che la morte di mio figlio non resti impunita. E a loro va tutta la mia gratitudine e riconoscenza». E dopo le ordinanze di custodia cautelare che hanno portato in carcere i quattro vigilantes accusati di omicidio preterintenzionale aggravato in concorso, il fratello della vittima, Marco Federico, ha annunciato che tramite il loro legale Fabio Greco si costituirà insieme con i suoi familiari parte civile nel procedimento a carico degli imputati.

http://www.ilmattino.it/articolo.php?id=174583&sez=NAPOLI

Morte al porto, in cella le guardie giurateultima modifica: 2011-12-28T12:00:00+01:00da sagittario290