Minacciò ex moglie con pistola: revoca porto d’armi…

Cronaca

8 giugno 2011 00:10

Minacciò ex moglie con pistola: revoca porto d’armi e funzione di guardia giurata. Sentenza annullata

Redazione

sorveglianza_fissa_mobile.jpgManfredonia – “SI deve quindi ritenere che i fatti che costituiscono il presupposto per l’emanazione del provvedimento di revoca debbano essere oggetto di un approfondito accertamento che può anche nascere dalla denuncia proveniente da un terzo ma non può basarsi esclusivamente su tale denuncia, occorrendo invece l’individuazione di seri elementi ostativi, frutto (anche) di accertamenti di polizia, direttamente riferibili alla condotta della parte interessata”.

DENUNCIATO per avere tra l’altro “fermato e minacciato con la pistola l’ex moglie” subisce la revoca della nomina a guardia particolare giurata e della licenza di porto d’armi. Ricorre al Consiglio di Stato, dopo sentenza avversa del Tribunale amministrativo regionale, che ne accogle il ricorso annullando la precedenza sentenza.

LA VICENDA – Sentenza dunque della terza sezione del Consiglio di Stato di Roma relativamente al ricorso (del 2007) di una guardia giurata di Manfredonia contro il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Foggia, e nei confronti di un Istituto di Vigilanza locale. Il ricorso aveva fatto riferimento alla riforma della sentenza del Tar Puglia di Bari, Sezione II del dicembre 2005, resa tra le parti, concernente come detto “la revoca della nomina a guardia particolare giurata e della licenza di porto d’armi” del ricorrente. Relatore nell’udienza pubblica del 6 maggio 2011 il Cons. Dante D’Alessio.

Il ricorrente in questione aveva impugnato davanti al TAR per la Puglia il decreto, del febbraio 2004, con il quale il Prefetto di Foggia aveva disposto la revoca della sua nomina a guardia particolare giurata e della licenza di porto di d’armi per difesa personale con il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti. La revoca dei titoli di polizia era stata determinata dal venir meno dei requisiti di cui all’art. 138 del t.u.l.p.s., e per la sussistenza delle condizioni di cui agli artt. 10 ed 11, “a causa della gravità delle imputazioni a carico del ricorrente che era stato denunciato per avere fermato e minacciato con la pistola l’ex moglie”. Il Tar per la Puglia, dopo aver accolto, il 21 aprile 2004, la domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato, con la sentenza appellata, del dicembre 2005, aveva respinto il ricorso.

LA SENTENZA DEL TAR: “SUFFICIENTEMENTE MOTIVATO IL GIUDIZIO NEGATIVO (…)” – Il Tar, ricordato che “l’onere dell’amministrazione di indicare i fatti ostativi al rilascio o alla permanenza della licenza, anche sotto il profilo della possibilità di abuso ex art. 10 T.U.L.P.S., può ritenersi assolto mercé il riferimento alla pendenza di procedimenti penali o di prevenzione, nonché alla presentazione di circostanziate denunce” e che deve considerarsi “sufficientemente motivato il giudizio negativo mediante l’indicazione di episodi, dati e circostanze, riferiti ad un soggetto, che, secondo il comune sentire, inducono a ritenere il non possesso dei requisiti della buona condotta e dell’affidabilità”, ha ritenuto che, nella fattispecie, “nell’escludere l’esistenza della buona condotta e dell’affidabilità, richieste per lo svolgimento delle funzioni in questione, i suddetti principi sono stati correttamente applicati, con conseguente infondatezza di quanto dedotto”.


LA DENUNCIA ORALE DELL’EX MOGLIE: “BERSAGLIATA CON MESSAGGI OFFENSIVI SUL CELLULARE, IN SEGUITO FERMATA E MINACCIATA CON LA PISTOLA”
– Era infatti risultato che l’ex moglie della guardia giurata avesse dichiarato oralmente di essere stata “bersagliata con messaggi offensivi” sulla sua utenza telefonica e di essere stata fermata dal ricorrente, nel gennaio 2004, e minacciata con la pistola. Altri episodi di aggressione e minacce risultavano essersi verificati nel 2003.

Secondo il TAR per la Puglia, pertanto, l’episodio della minaccia con la pistola d’ordinanza del gennaio 2004, riportato nel provvedimento impugnato, “indubbiamente incide sul requisito della buona condotta e sull’affidabilità ad esercitare le funzioni di guardia giurata, rendendo attuate il pericolo d’abuso ove si abbia riguardo anche all’insieme degli elementi di fatto risultanti dai rapporti di servizio redatti dall’Ufficio Polstato di Manfredonia ed allegati alla richiamata nota istruttoria del gennaio 2004”, con la conseguenza che “il giudizio espresso del venir meno del requisito della ‘buona condotta’ e della capacità di abuso non è, dunque, fondato nell’atto impugnato su una sola circostanza di fatto (la denunziata minaccia) di dubbia certezza, ma trova un logico riscontro in più documentati e rilevati episodi”.

IL RICORSO – Ma il ricorrente aveva appellato l’indicata sentenza chiedendone la riforma. In particolare, dopo aver ricordato di aver svolto il servizio di guardia giuratasempre con professionalità, di essere incensurato e che nessun seguito aveva avuto la denuncia per l’episodio del gennaio 2004”, il ricorrente ha sostenuto che “illegittimamente l’amministrazione aveva dato rilievo alla denuncia della ex moglie (e quindi alle dichiarazioni di una sola parte, peraltro da lui querelata per calunnia) senza svolgere ulteriori obiettivi accertamenti e senza consentirgli alcun contraddittorio”. Ed erronea in conseguenza risulta la sentenza del TAR per la Puglia che ha ritenuto di dover respingere il suo ricorso “facendo riferimento a tale denuncia e ad alcuni irrilevanti precedenti, peraltro non indicati nel provvedimento impugnato”.


V SEZ. CONSIGLIO DI STATO SOSPENDE LA SENTENZA DEL TAR NEL FEBBRAIO 2007. “BREVI IL PERIODO” DI INATTIVITA’ PER LA GUARDIA GIURATA, CHE HA CONTINUATO INFATTI A SVOLGERE LA PROPRIA ATTIVITA’
– A seguito del provvedimento con il quale, nel febbraio 2007, l’amministrazione poneva in esecuzione l’appellata sentenza, il ricorrente ne chiedeva la sospensione che veniva concessa dalla V Sezione del Consiglio di Stato di Roma nella Camera di Consiglio del 13 marzo 2007.

Tutto ciò premesso – scrivono nella sentenza i magistrati della terza sezione del Consiglio di Stato Pier Luigi Lodi, Presidente, Marco Lipari, Consigliere, Angelica Dell’Utri, Consigliere, Roberto Capuzzi, Consigliere, Dante D’Alessio, Consigliere, Estensore) – “si deve ricordare che, come affermato anche nella sentenza del TAR di Bari, per principio consolidato l’esigenza di garantire l’ordine e la sicurezza pubblica impongono al titolare dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di guardia particolare giurata di avere una condotta irreprensibile e immune da censure e che, nella valutazione di tale requisito, l’autorità di pubblica sicurezza dispone di un ampio potere di apprezzamento discrezionale, in funzione della pericolosità dell’attività soggetta ad autorizzazione e della delicatezza degli interessi pubblici coinvolti, che può essere censurato solo se risultano vizi di irrazionalità e incoerenza (fra le più recenti, Consiglio Stato, sez. VI, 27 agosto 2010, n. 5981)”.

Nell’esercizio di tale potere “l’Amministrazione deve peraltro dare puntualmente atto delle ragioni che inducono a ritenere che i fatti accertati (o il reato commesso), per tipologia e per modalità di realizzazione, abbiano fatto venir meno il necessario requisito della buona condotta (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 2010, n. 4853”). “E tale accertamento deve essere particolarmente rigoroso quando, come nella fattispecie, il venir meno del requisito della buona condotta si riflette direttamente sulla capacità lavorativa del soggetto interessato”. “Si deve quindi ritenere – secondo i magistrati della terza sezione del Consiglio di Stato – che i fatti che costituiscono il presupposto per l’emanazione del provvedimento di revoca debbano essere oggetto di un approfondito accertamento che può anche nascere dalla denuncia proveniente da un terzo ma non può basarsi esclusivamente su tale denuncia, occorrendo invece l’individuazione di seri elementi ostativi, frutto (anche) di accertamenti di polizia, direttamente riferibili alla condotta della parte interessata”. “E deve essere escluso, in assenza di ulteriori elementi probatori circa lo svolgimento dei fatti e le responsabilità dell’interessato, qualsiasi automatismo tra una denuncia penale e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio della professione di guardia particolare giurata”. “Mentre, per il periodo necessario allo svolgimento delle necessarie indagini, può essere adottata, sempre che ne sussistano i presupposti, la misura più lieve della sospensione della licenza (ai sensi dell’art. 10 del t.u.l.p.s.)”.

Dunque, applicando tali principi alla fattispecie in esame l’appello della guardia giurata che aveva subito la revoca della nomina della funzione e del porto d’armi è risultato fondato.

Il Prefetto di Foggia ha infatti disposto, nel febbraio 2004, la revoca del decreto di approvazione della nomina a guardia particolare giurata e della licenza di porto di d’armi per difesa personale del signore di Manfredonia, con il divieto di detenere armi, munizioni e materie esplodenti, facendo esclusivo riferimento alla denuncia della ex moglie per la minaccia del gennaio 2004. Nel giudizio di primo grado risulta poi depositata una informativa, gennaio 2004, dell’Ufficio della Polizia di Stato di Manfredonia nella quale sono stati indicati alcuni episodi di minor rilievo (sempre riguardanti il rapporto conflittuale con l’ex coniuge) verificatisi nell’anno precedente. Ma per il Consiglio di Stato, terza sezione, “questi elementi, nel loro complesso, non potevano giustificare il provvedimento di revoca adottato (mentre forse avrebbero potuto giustificare un meno grave e non definitivo provvedimento di sospensione della licenza) e dimostrano la mancanza di una adeguata attività istruttoria volta a dare consistenza ed attendibilità agli addebiti”. “Con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo, per difetto di istruttoria e di motivazione, il provvedimento del Prefetto di Foggia, impugnato davanti al TAR per la Puglia”.


“NESSUNA SEGUITO DI RILEVANZA PENALE” DOPO LA DENUNCIA DELL’EX MOGLIE
– Una conclusione confortata dalla circostanza, dedotta in giudizio dalla guardia giurata di Manfredonia (e non contraddetta dall’amministrazione), che “nessun seguito di rilevanza penale” aveva avuto la denuncia dell’ex coniuge per l’episodio del gennaio 2004. Inoltre, secondo i magistrati del Consiglio di Stato, “non è poi stato fornito in giudizio dall’amministrazione alcun ulteriore elemento (neanche riguardante fatti successivi) capace di dimostrare la non idoneità all’esercizio della funzione di guardia particolare giurata” del signore di Manfredonia che, per effetto delle misure cautelari disposte prima dal TAR per la Puglia e poi dalla Sezione V di questo Consiglio, in tutti questi anni ha continuato a svolgere la sua attività lavorativa di guardia giurata.

Da qui l’occorrenza di “esaminare la domanda risarcitoria, riproposta anche in appello dal ricorrente. Al riguardo i magistrati hanno rilevato preliminarmente che, come si è già in precedenza accennato, i provvedimenti impugnati in primo grado hanno avuto “effetti molto contenuti nel tempo” in quanto sia il TAR per la Puglia, nel giudizio di primo grado, e sia la Sezione V del Consiglio di Stato, nel grado di appello, “ne hanno tempestivamente sospeso gli effetti pregiudizievoli”. Dunque la richiesta del risarcimento, “per i residui periodi non coperti dalle indicate misure cautelari” è stata respinta “non potendo ravvisarsi nella condotta dell’amministrazione quella colpa (grave) che costituisce il presupposto per il riconoscimento di un danno ingiusto e quindi risarcibile”.Ovvero: nessuna responsabilità tale della società tale da presupporre il riconoscimento del danno.


RESPINTA LA DOMANDA DEL RISARCIMENTO DANNO
– ““Si deve infatti ricordare che, ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessario che sia configurabile la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa, dovendo quindi verificarsi se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che può essere affermata detta responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negarla, invece, quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Consiglio Stato, sez. V, 26 maggio 2010, n. 3367)”.

In ogni modo resta l’accoglimento dell’appello, con annullamento della sentenza appellata e disposizione di annullamento del provvedimento del Prefetto di Foggia, febbraio 2004, impugnato davanti al TAR per la Puglia.

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