Cronaca
11/02/2011
Varese
Assalto al portavalori, in aula la prova che incastra il bandito
Un prelievo di dna nel sottocasco, trovato tra il cruscotto e il parabrezza, in un camion abbandonato in tutta fretta dai banditi che tentarono di speronare un furgone portavalori, a Varese, il 31 maggio del 2006. Lo ha effettuato la dottoressa Paola Asili, direttore tecnico del servizio di polizia scientifica di Roma che ha testimoniato, in tribunale, nel processo contro Edoardo Atzeni: un sardo di 53 anni, arrestato nel dicembre dello stesso anno insieme a una batteria di rapinatori a Corbetta, nel milanese, e che risulta essere stato presente anche nell’assalto di Varese.
Ebbene, dalle testimonianze in aula, davanti al collegio presieduto dal giudice Orazio Muscato, è emerso che quel trasporto non era un viaggio qualunque, ma un prelievo da caveau e caveau, e cioè un tragitto un po’ speciale, molto più ricco dei normali giri tra filiali bancarie: e i rapinatori lo sapevano. L’autista del blindato, interrogato in aula, aveva consegnato del denaro a Milano e stava tornando a Varese con altro contante. La cifra non era mai stata divulgata, ma l’ex capo della squadra mobile, Franco Novati, ha spiegato che secondo le indagini si trattava di circa 1 milione e 200mila euro; una somma da capogiro, che i malviventi volevano prendere con un piano davvero ardito. Il blindato era quasi giunto a Varese e, come ha ricostruito l’autista, il camion, che procedeva in senso opposto, sbandò e poi sterzò di botto. Le tre guardie giurate, pur in preda al panico, riuscirono a scartare e a scappare fino a un deposito di via Stoppada. Gli occupanti del camion, forse due, schizzarono fuori ed entrarono in un’Audi scura che stava inseguendo il furgone, con altri due complici a bordo. La vettura, che risultò rubata, fece inversione e scappò verso Milano. Il dottor Novati racconta inoltre che in serata, dalla questura di Milano, arrivò l’avviso che la macchina era stata trovata, in fiamme, alle 22 e 40, all’uscita Cusago della tangenziale ovest. Alla polizia rimase quel sottocasco dimenticato nella fretta della fuga, e fu preziosissimo, perché quando il 6 dicembre del 2006 fu arrestata la batteria di Corbetta, si ipotizzarono modalità simili per una serie di colpi e si procedette al prelievo del tampone salivare per tutti i malviventi. E qui torna in gioco la dottoressa Paola Asili che, dopo un primo prelievo della scientifica Milano, rifece le analisi a Roma, asportando un campione all’altezza del naso, e trovando una corrispondenza genetica perfetta con il dna di Atzeni.
L’uomo è, per ora, l’unico imputato del processo per quella tentata rapina, dove l’accusa è sostenuta dal pm Massimo Baraldo, ma questa vicenda è forse solo un tassello di un puzzle molto più complesso: dove sono gli atri tre complici? C’entrano qualcosa con la rapine di Milano, Novara, Lodi, e forse anche altri colpi clamorosi degli anni novanta?
Roberto Rotondo