Una guardia giurata

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23 gennaio 2011

Una guardia giurata

Ci vuole poco per diventare un eroe. Il coraggio, soprattutto, di parlarsi con onestà

Pietro Marmo

guardia%20giurata.jpgLo sapevo che non mi avrebbero accolto come un eroe. Sono solo degli stronzi, prima fanno gli amici e poi mi mollano così. Solo il direttore della palestra mi ha accolto a braccia aperte, proprio lui che mi voleva cacciare per il ritardo nei pagamenti, visto che sul giornale dicevano pure dove mi allenavo. Mi dispiace perché per me la palestra è tutto e se gli altri non mi parlano me ne devo solo andare via, in quella del paese qui vicino che è pure meno cara ma non è buona quanto questa… Scusate divagavo, ora mi presento: sono una guardia giurata, uno di quei materassi imbottiti di giubbotto antiproiettili che potete vedere davanti alle banche. Camminiamo tutti a piccoli passi, un po’ avanti e un po’ indietro, perché è difficile stare lì fermi per otto ore ad aspettare che qualche svitato con la pistola cerchi di imitare i banditi del Far West. Per fortuna non mi è mai successo e non so come potrei reagire se succedesse. Se vengo qui in palestra è anche perché voglio imparare a difendermi e mi è servito, mi è proprio servito nella storia che mi è successa. Dunque, devo confessare che non mi piacciono gli stranieri, soprattutto i neri. Non penso di essere razzista, ma preferirei che stessero nelle loro nazioni. Non mi piace il loro odore, come si vestono, quello che mangiano e come si stanno infilando in ogni quartiere e scuola della nostra città. Non mi piace ma fino a poco tempo fa loro da una parte e io da un’altra senza darci fastidio.

Poi un giorno, dopo aver terminato il turno, affamato come un lupo per tutti i pesi che tiro su in palestra, mi sono cambiato e sono andato alla mia pizzeria di fiducia. Ero stanco e non ho fatto caso che c’era un cartello di cambio gestione all’ingresso e che Sor Mario non mi aveva salutato come sempre con qualche sfottò all’ingresso. Alzo la testa per ordinare una pizza di quelle giganti e mi trovo un lungagnone egiziano con i baffetti ed il cappello da pizzaiolo in testa che mi guardava con curiosità. A saperlo non ci sarei entrato mai più là dentro e avrei camminato per chilometri pur di trovare una pizzeria come Dio comanda. Ma dietro il mio volto da duro sono profondamente timido e non ho avuto il coraggio di dire a quel nero che io una cosa cucinata con quelle mani sporche non l’avrei mai mangiata. Così ho ordinato la solita pizza, che loro facevano, e l’ho fatta mettere in un cartone per portarla via (e buttarla appena uscito). Ho pagato e sono scappato senza quasi salutare con questa borsa maleodorante in mano. Uscito però ho cominciato a sentire che non puzzava di spezie strane ma di pane appena cotto, come lo faceva mamma quando ero piccolo. La dovevo buttare ma avevo pure fame e volevo avere qualche convinzione in più sul fatto di non tornarci più. Invece altro che Sor Mario, quella era una signora pizza, morbida, saporita, con dei pomodori freschi che scendevano giù che era un piacere. L’ho consumata come un ladro con l’intenzione comunque che sarebbe stata l’ultima.

Il giorno dopo però dopo la fine del turno ho provato a girare un po’ e, gira che ti rigira, mi sono trovato di nuovo lì. Ho preso la stessa pizza e sono uscito con il malloppo. Era troppo buona e sebbene non mi spiegassi come fosse possibile concessi a me stesso di tornare a prenderla ogni giorno ma senza fermarmi dentro. Poi però a Roma piove come Dio comanda ed è un peccato far bagnare questo bendiddio di pizza, così sono diventato un cliente abituale ed ho cominciato ad osservarli. Per la gentilezza, nessun dubbio, non c’era proprio da ragionarci: sembravano dei signori a confronto con quelli di prima. E poi sembravano persone unite, un marito e una moglie che lavoravano con il sorriso sulla bocca, sorriso che diventava radioso quando tornava da scuola una bambinetta di 5-6 anni dolce dolce con le treccine da nera. Piano piano ho pensato che una bimba così ce la farei stare con mia figlia a scuola anche se poi, chissà, crescendo che tipo di educazione retrograda le darebbero. Insomma devo ammetterlo che dopo un po’ li salutavo pure io e qualche volta giocavo pure con la bambinetta. E a questo punto è successo il fattaccio: secondo me questa pizzeria va bene, va troppo bene, e a qualcuno questo fatto non va giù. Insomma un giorno, era molto tardi e c’ero solo io nel locale, entrano un paio di ragazzotti con della bandane e delle teste belle rasate. Entrano, mi guardano e decidono che non sono un pericolo. Chiamano il tizio negro e chiedono di avere una schifosa pizza. Era evidente che volevano fare danni ma lui ha fatto finta di niente e con la sua solita gentilezza ha chiesto il tipo di pizza. Allora questi hanno cominciato a battere i caschi sul bancone e sui vetri quasi spaccandoli. Lui ha chiesto che uscissero se no chiamava la polizia e questi mettendosi a ridere hanno cominciato a buttare roba per l’aria dicendo che era meglio che se ne andava da quel quartiere. Lui li guardava con odio ma stava fermo perché erano due grandi e grossi e quei caschi facevano male.

guardia-giurata-b.jpgCredo che qualcuno li avesse mandati lì a far casino ma questi erano proprio fusi e cercavano il pretesto per fargli del male. Ma lui stava fermo e impassibile fino a quando non entra la figlioletta. Allora i tizi hanno cercato di acchiapparla mentre il suo volto impassibile si è mutato in paura e disperazione. Ha preso un matterello in mano e stava per scagliarsi contro a loro quando questi hanno preso delle catene dai caschi che hanno cominciato a far volteggiare ridendo come dei deficienti. Loro ridevano e la bimba impaurita in mezzo alle gambe del padre cominciava a piangere. Le loro risate si sono soffocate in un grido di sorpresa più che di dolore. Dopo averli colpiti con forza da dietro ho aspettato che si girassero per dargli un pugno sul collo ad uno e un calcio dove fa male all’altro. Si sono accasciati e io gli ho tolto caschi e catene. Ho detto al nero di portare via la bimba e di chiamare la polizia mentre prendevo la mia pistola di ordinanza e li tenevo sotto tiro. Quelli un po’ di paura se la sono messa perché vedevano che tremavo con la mano ma indietreggiando lentamente si sono avviati alla porta. Sono usciti scappando con mio grande sollievo mentre una sirena della polizia annunciava che non sarebbero andati troppo lontano.  La prima cosa che ho sentito è stato l’odore del forno. Forse è vero che puzzano ma quando mi ha abbracciato e baciato io ho sentito il buon odore del forno di mia madre quando tornava dal piano di sotto con un panella calda calda. Piangeva e mi ringraziava nella sua lingua incomprensibile e voleva che anche sua figlia mi baciasse e mi abbracciasse. Quando i poliziotti sono entrati e mi hanno visto con catene e casco non capivano se dovevano arrestare o no anche me. Ma il tizio mi abbracciava e per quanto non fossi molto diverso nell’aspetto dagli aggressori si capiva che stavo dalla parte giusta. Gli ho raccontato tutto e il più vecchio dei due mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto grazie. Come mi hanno detto grazie in tanti alla piccola festa che hanno fatto in pizzeria in mio onore. Mia madre non era mai stata così fiera di me mostrando anche il telegramma di ringraziamento del sindaco e i giornali che hanno parlato di me e hanno anche messo la mia foto.  Quindi sarà pure che gli amici in palestra non hanno apprezzato e che prima o poi dovrò andarmene ma io sono contento davvero di quello che ho fatto e spero di cuore che questa brava gente la lascino in pace e questi fatti non succedano più, mai più.

Una guardia giurataultima modifica: 2011-01-24T11:15:00+01:00da sagittario290