Il commento Ma la fede non può diventare l’alibi di un assassino

Interni

lunedì 03 gennaio 2011, 08:00

Il commento Ma la fede non può diventare l’alibi di un assassino

di Redazione

jpg_1861428.jpgCercare conforto in Dio non può o non deve essere precluso a nessuno. Ma non può diventare un alibi per un pluriassassino che con i suoi delitti ha spezzato vite, distrutto famiglie, seminato dolore e disperazione. È il caso di Angelo Izzo, estremista di destra, noto come il «mostro del Circeo», condannato a due ergastoli perché ritenuto responsabile di omicidi terribili. A Izzo lo Stato italiano ha (forse con troppa superficialità) offerto la possibilità di rientrare nella società, ma lui ne ha approfittato per uccidere ancora altri due innocenti. Se oggi Izzo confida – come dice – nella giustizia di Dio, sappia che questo non può bastare a fargli guadagnare il perdono dei familiari delle vittime. Le vittime di un serial killer dallo sguardo spiritato e dalla mente sconvolta da deliri ideologici e pulsioni omicide. Un cocktail velenoso che qualche preghiera in carcere non potrà edulcorare. Non a caso il massacro del Circeo è entrato nella storia della cronaca nera per l’assoluta gratuità di una crudeltà senza fine. Per più di un giorno ed una notte due ragazze – Donatella Colasanti (1958-2005) di 17 anni e Rosaria Lopez (1956-1975) di 19 anni – furono violentate, seviziate e massacrate. Entrambe vennero drogate. Rosaria Lopez fu picchiata ed annegata nella vasca da bagno. Dopo i tre aguzzini (uno dei quali era appunto Angelo Izzo, gli altri due erano Andrea Ghira e Giovanni Guido) tentarono di strangolare con una cintura la Colasanti e la colpirono selvaggiamente. In un momento di disattenzione dei tre carnefici, Donatella riuscì a raggiungere un telefono e cercò di chiedere aiuto ma fu scoperta e colpita con una spranga di ferro. Credendole entrambe morte i tre le rinchiusero nel bagagliaio di una Fiat 127. Dopo essere arrivati vicino a casa di Guido decisero di andare a cenare in un ristorante. Lasciarono la Fiat 127 con le due ragazze in via Pola, nel quartiere Trieste. Donatella Colasanti, sopravvissuta per miracolo e in preda a choc, approfittò dell’assenza dei ragazzi per richiamare l’attenzione venendo udita da un metronotte. Era salva. Ma quel suo volto insanguinato divenne l’emblema di una violenza senza confini. Era il 29 settembre 1975: Izzo e Guido furono arrestati entro poche ore (è nota una foto d’archivio in cui Izzo esibisce spavaldamente le manette ai polsi, sorridendo), Ghira, grazie a una soffiata, non sarà mai catturato.

Durante il suo periodo di detenzione, Izzo manifestò più volte interesse a collaborare con la magistratura, fornendo versioni sulle stragi di piazza Fontana, di Bologna e di piazza della Loggia, sugli omicidi di Mino Pecorelli, Fausto e Iaio e Piersanti Mattarella, sulla morte di Giorgiana Masi e su molti altri episodi di terrorismo e di mafia. Nel dicembre 2004, ottenne la semilibertà dal carcere di Campobasso, su disposizione dei giudici di Palermo, per andare a lavorare in una cooperativa. Ma il 28 aprile 2005, Izzo uccise Maria Carmela e Valentina Maiorano.

Oggi Angelo Izzo dice di cercare la fede. Se mai la troverà, avrà molto di cui pentirsi.

Il commento Ma la fede non può diventare l’alibi di un assassinoultima modifica: 2011-01-04T10:00:00+01:00da sagittario290