Responsabilità Sicurezza
03/12/2010
La guardia giurata chiama le “hotline” dal telefono dell’azienda che sorveglia: è peculato
Il caso
Il fatto che il vigilante firmi verbali che fanno fede e possa aiutare la polizia nella repressione dei reati non è sufficiente ad attribuirgli la qualità di pubblico ufficiale: si tratta di funzioni sussidiarie e prive di autonomia che in certi casi possono svolgere perfino i privati cittadini. La guardia giurata che si occupa di tutelare le entità patrimoniali affidate alla sua sorveglianza è dunque un incaricato di pubblico servizio; qualità che, fra l’altro, non può essergli riconosciuta laddove egli intervenga fuori dalle sue attribuzioni istituzionali, ad esempio per sedare una rissa.
I giudici non hanno dubbi sulla colpevolezza dell’imputato, che emerge dall’incrocio fra i tabulati telefonici e i fogli presenza: le chiamate alle hot line si verificano mentre il vigilante risultano in servizio e cessano quando il lavoratore è in ferie o permesso. E l’azienda è costretta a pagare bollette per circa 21.500 euro in cinque mesi per quasi tremila telefonate a luci rosse. Né giova alla difesa ipotizzare, al più, la fattispecie meno grave di appropriazione indebita aggravata perché il dipendente dell’istituto di vigilanza è pur sempre chiamato a difendere i beni dell’azienda. Risultato: il vigilante è condannato a due anni e mezzo di reclusione.
Resta ora da capire perché si configuri il peculato e vada scartata l’ipotesi meno grave, quella del peculato d’uso: la condotta dell’incaricato di pubblico servizio, nella specie, non si esaurisce nel mero utilizzo del telefono aziendale; chiamando di nascosto il “166”, infatti, il vigilante si appropria comunque di energie entrate a far parte del patrimonio dell’impresa, sia pure sotto forma di impulsi elettronici (o, se si preferisce, di scatti telefonici). Va precisato, infine, che risulta irrilevante il fatto che il responsabile delle chiamate alle linee erotiche dal telefono d’ufficio abbia ad esempio rimborsato l’ente di appartenenza: il “ravvedimento” non serve a cancellare il reato.