Donne, mafia e affari: il giallo del tre

Cronaca

(14 novembre 2010)

COLD CASE 13

Donne, mafia e affari: il giallo del tre
Tre proiettili mortali, tre piste, tre indizi

Viaggi, fidanzate dell’Est e cocaina. Ettore Gerri, 56 anni, viene colpito davanti a casa
Il suo passato poco limpido nasconde anche troppo per poter arrivare a una sola verità

di MASSIMO PISA

151937948-023fd567-da2b-470d-8126-4f7d92bcd152.jpgDonne e appartamenti. Affari opachi e cattive amicizie. Un numero, il tre, che ricorre di continuo in una storia di triangoli finanziari e affettivi. Correva troppo, Ettore Gerri. Non sapeva che si stava andando a schiantare contro i tre proiettili di una Beretta calibro 9 sparati da un professionista. Uno che ha il sangue freddo di dare il colpo di grazia alla nuca, la vittima crollata in ginocchio sul marciapiede di via Fiamma, a pochi passi dall’appartamento di Gerri in via Sottocorno. Zona lussuosa, svegliata dalle tre detonazioni due minuti prima della mezzanotte del 16 marzo 2004. Vittima eccellente. Lo sarebbe anche l’unico testimone, se avesse visto: il consigliere provinciale Bruno Dapei scende dal taxi, lì in via Fiamma alle 23.58. Sente gli spari ma non sporge la testa dal portone: resta un attimo immobile, gira la chiave e sale.

Testimoni pochi, e solo della fuga: in tre, vedono tre uomini scappare a piedi verso via Archimede. Due sono bassi, sull’1 e 60, solo uno non ha il cappello in testa. Tre le tracce che la Omicidi trova sul posto. Un basco di stoffa nero, foderato di rosso, è lì a terra e non era di Gerri. Una vecchia Jaguar bordeaux: è stata parcheggiata tutta la sera nel posto riservato ai disabili, a un metro dal delitto, i condomini se n’erano lamentati, ora è sparita. E l’ultima telefonata sul telefono di Gerri, uno squillo non risposto da numero privato, attimi prima dell’esecuzione. Un segnale per i killer? Nemmeno le analisi dei tabulati e delle celle telefoniche diranno mai la verità agli investigatori: forse telefoni-citofono, apparecchi e sim appena acquistati e mai più utilizzati, una tecnica comune tra i rapinatori.

Ma c’è altro da spremere dalla scena dell’omicidio. I tre bossoli marchiati “Giulio Fiocchi Lecco”, una partita rarissima, alcuni di quei proiettili vengono rintracciati – in dotazione ad alcune guardie giurate – a Busto Arsizio, paese dove finisce uno dei rivoli dell’attività di Ettore Gerri, inquinato da personaggi in odor di mafia, famiglia Rinzivillo. Ci sono infine le urla di una donna e di un uomo che piangono sul cadavere. Lui è Alberto, calabrese, amicizie pesanti, vicino di pianerottolo e inquilino a gratis del monolocale, di proprietà della vittima, che utilizzava come pied-à-terre per le sue serate con l’amante moldava (un bigliettino nel portafoglio della vittima recitava: “Alberto 25.000”). Lei, la bionda che urla “lo ha ammazzato il socio!”, è Aniko, 32 anni, ungherese, l’ultima fidanzata di Gerri, conosciuta in un night di piazza Diaz. Ha una figlia di sette anni: il padre di lei, Francesco Zappalà, calabrese, è amico di Alberto e di un mammasantissima di ‘ndrangheta, lo troveremo più avanti.

Aveva 56 anni, Ettore Gerri, bresciano di Castecovati, self-made man edile ed ex attivista di An, e da quando si era separato dalla moglie Marina – due figli, Tania, 32 anni, e Matteo, 26, che stava introducendo nelle sue società – aveva scoperto la grandeur e la vita spericolata. Pantaloni in pelle al posto di grisaglia e mocassini, orecchino, viaggi: da Cuba, e dalle bellezze del luogo, era appena tornato. Fidanzate, prevalentemente dell’Est e pescate nei night, come un vizio. Prese, lasciate, ma non prima d’averle sistemate in uno dei suoi appartamenti.

Orologi di lusso, una cinquantina in cassaforte: Panerai e Franck Muller, Audemars Piguet e Cartier, Rolex e Jaeger Le Coultre. Cocaina, per sé e per gli amici: gliene trovano in tasca e in casa, insieme a due cannucce di metallo. I soldi non erano mai mancati e non li nascondeva, il rotolo di contanti sempre in tasca (ha 1275 euro, e banconote svizzere, lituane e brasiliane, sterline e dollari, quando gli sparano), al ristorante pranzo e sera, spesso invitando gli amici. Come per l’ultima cena, in viale Argonne: c’è Aniko, in una pausa delle loro frequenti burrasche (a cadavere caldo, lei farà causa ai Gerri per avere l’appartamento di viale Mugello dove la vittima l’aveva piazzata), ci sono Anna e Vito, una coppia di dentisti, e c’è Alberto che sta tutta la sera al telefono con un’amante estone. Escono alle 23.40, Gerri prende la Mercedes e guida fino al garage di via Archimede, Aniko va via con la sua auto.

Era spericolata, la vittima, anche negli affari, ramo edilizia, la grande palude, insieme al socio Livio, milanese, 39 anni. Insieme avevano fondato la GiEmmePi, anni addietro, soci made in Calabria, cognomi che paiono presi direttamente dai fascicoli della Dia: Gerace e Condello, contatti coi Feliciano e i Mazzaferro di Oppido Mamertina. Calabresi, di Caulonia, sono i De Luca, altri edili con cui Gerri aveva avuto contrasti ricevendone in cambio minacce di morte. Reggini sono gli Arrigo, che una pagina dattiloscritta anonima, arrivata il 20 marzo 2004 alla Dia di Milano, accusa come mandanti del delitto (e custodi della latitanza di Bernardo Provenzano…), punizione per aver resistito a un’estorsione.

La GiEmmePi era poi diventata Maxim, e il giro era cambiato: siciliani, stavolta, gelesi legati alla cosca dei Rinzivillo con base a Busto Arsizio (rieccoci), che offrono manodopera – fino a 873 operai contemporaneamente – in cambio di false fatturazioni e un compenso del 4% in nero. Una gara a chi è più furbo: i siculi, che vantano 70mila euro di credito dal socio Livio – era lui a tenere i fili – si vedevano intestare ville nel varesotto e assegnare Bmw in leasing all’insaputa di Gerri. Che però da un po’ di tempo voleva vederci chiaro. Un mese prima di morire si era fatto fare le carte dalla sorella di Annamaria, la sua storica segretaria, e le aveva chiesto: “Il mio socio è onesto?”. E in un bigliettino trovato in tasca al cadavere, un appunto con gli impegni dei due giorni successivi, al giorno 17 era segnata una frase: “Pagamenti… Io devo sapere tutto???”.

È un roveto di piste e di nemici, quello che si trovano di fronte gli investigatori, che fa a pugni coi pochissimi indizi lasciati in via Fiamma dai tre esecutori. Uno, il basco, porta in Lituania. A Zaneta, una delle ex fidanzate di Gerri, entraineuse presa e lasciata non prima dell’ennesimo appartamento regalato – a metà – e intestato alla madre laggiù, sul Baltico. Zaneta era tornata a casa, ma con la madre aveva litigato. A Gerri telefonava spesso, piangendo: e lui, cui la ex suocera aveva fatto un’offerta per prendersi l’altro 50%, voleva indietro tutto l’appartamento. Particolare: Zaneta indossava sempre un basco nero. Ora però la donna, che in Italia si fa chiamare Janette, è introvabile. Il suo passato tuttavia riemergerà in un’indagine della Mobile sull’Ortomercato, nel 2007: Zaneta è stata la donna di Salvatore Morabito, ‘u Tamunga, prima di incontrare Gerri. Gli investigatori si mettono ad ascoltare anche lui e Zappalà, sperando di disseppellire anche quell’altra inchiesta per omicidio. Invano: è più probabile uno tsunami all’Idroscalo che un boss di ‘ndrangheta parli al telefono. 

Donne, mafia e affari: il giallo del treultima modifica: 2010-11-15T10:45:00+01:00da sagittario290