ANTIPIRATERIA
Politiche Marittime 22 agosto 2009
VIGILANTES A BORDO NAVI COME TRINCEE
E quindi, negli ultimi tre anni, sono più che triplicati gli introiti di queste agenzie, che con l’aumentare dei sequestri e delle richieste di riscatto non dicono (quasi) mai di no alle richieste degli armatori presi per la gola. A confermare il business dei “guardiani” delle navi è la Eos, società londinese che ha raccontato all’Economist di avere sventato ben 15 attacchi nelle acque somale a partire dallo scorso mese di gennaio. Percentuale di fallimento, zero per cento. Alla Eos non hanno una gran voglia di parlare, ma qualcosa dicono: soprattutto ci tengono a sottolineare come le loro strategie difese non includono nulla di letale. Mai uccidere un pirata, quindi. Un motto che, a detta della stessa Eos, non è proprio condiviso da tutti. Lo stesso capo dell’agenzia, David Johnson, spiega come l’aumentare degli attacchi e la nascita di nuove società di “protezione” pronte a fare una concorrenza spietata, stia rischiando di portare troppo in là il concetto di difesa. Insomma, sempre più armi, sempre più grosse. E sempre meno scrupoli. Fino a un anno fa, la soluzione ideale sembrava essere rappresentata dalle barche d’appoggio, che navigavano a distanza di sicurezza, pronte a intervenire. Ora ci si fida di meno, ed è meglio non farsi vedere troppo in giro con gente armata quando a pattugliare il mare ci sono ormai navi militari di una ventina di Paesi. I marines Usa e i loro omologhi sarebbero infatti gli unici titolati a girare armati per gli oceani. Gli altri, per quanto sinceramente desiderosi di far rispettare la legge, in mare sono fuorilegge.
Tuttavia, sembra che disporre di soluzioni di difesa alternative alle portaerei o alle fregate della Nato sia un pensiero comune tra gli armatori. L’analista di settore Jason Alderwick è convinto che non è «con navi mastodontiche e file interminabili di bazooka che si combattono le piccole e agili navi dei pirati». Inoltre, con 30-40 navi militari non si può pretendere di monitorare uno specchio acqueo grande come gli Stati Uniti. E quindi, ecco che i timori di chi ragiona con la pancia – come un armatore – vengono in qualche modo legittimati da chi, studiando le mosse di pirati, lavora con la testa. Secondo lo stesso Alderwick, ciò non giustifica l’addobbare un cargo come una caserma. Cercare di ricreare, tra i somali, le basi per un più onesto lavoro da pescatori, toglierebbe molta materia prima a chi recluta pirati con la scusa che “tanto le compagnie straniere vi tolgono il lavoro coi loro maxipescherecci”. Altra mossa intelligente, e quasi obbligata, sarebbe uno studio più accurato dei passaggi di denaro, ovvero dei riscatti, che include anche alcune banche. Sarebbero questi giri di denaro il vero motore della pirateria. Spegnerlo farebbe inceppare la macchina. Lo ha detto perfino il segretario alla Difesa americano Roberto Gates, rimasto inascoltato. Per ora, a quanto pare, si preferisce menare le mani.
Roberto Scarcella