«La mia azienda fallì dopo la rapina d’oro»

11/06/2009

«La mia azienda fallì
dopo la rapina d’oro»

IL CASO. Durante il processo a Trieste alla banda che assaltò un blindato, parla il titolare della ditta vicentina. Antonio Alessio racconta: «L’assicurazione non ha mai pagato e perciò 51 operai sono rimasti a casa»

68116_71788_medium.jpgTrieste. «Quella rapina mi ha messo in ginocchio. Ho dovuto mettere in liquidazione la mia azienda orafa e lasciare a casa fra Vicenza, Mussolente e Buie d’Istria 51 dipendenti». Antonio Alessio è molto diretto quando parla ai giudici del tribunale di Trieste. L’imprenditore vicentino l’altra mattina si è seduto sul banco dei testimoni per raccontare la sua versione sulla rapina avvenuta nel novembre 2006 a Trieste che gli costò 230 chilogrammi d’oro, per un controvalore di circa un milione e 700 mila euro. «A tre anni di distanza dalla rapina l’assicurazione non mi ha ancora risarcito. Impossibile lavorare. Per questo sono stati costretto a chiudere l’attività e ad avviare una causa civile, ma chissà quando mai otterrò ciò che mi spetta». D’altronde, le indagini non hanno consentito di recuperare neanche un grammo della refurtiva.

Di quei 51 operai rimasti sulla strada in seguito alla rapina si è discusso durante il processo a carico di Biagio Reca, 55 anni, triestino, ritenuto la mente della rapina. Gli altri quattro imputati, fra cui la guardia giurata Pasquale Russini, che vive a Vicenza in via Zugliano, sono stati già condannati a 4 anni e 8 mesi.

L’assalto avvenne alla periferia di Trieste. Il furgone blindato della “Sped In”, azienda vicentina con sede in via della Robbia, in città, partì da Vicenza con i 230 chili della ditta di Alessio, diretto verso Buie. A bordo Russini e un collega.

La guardia infedele doveva fermarsi vicino ad un’armeria per consegnare le pistole, a due passi dal confine. Ma Russini si fermò ad una quarantina di metri, e quando il collega uscì dall’armeria trovò una banda di rapinatori armati ad attenderlo. Sia lui che Russini furono picchiati (nel caso del vicentino per rendere credibile l’agguato) e quindi depredati di tutto il carico. «Di solito – raccontò in aula Elia D’Antoni – il furgone si fermava davanti all’armeria per correre meno rischi. Ma Russini, il 17 novembre di tre anni fa, accostò ben più lontano».

Le indagini delle squadre mobili di Trieste e di Vicenza consentirono di risalire ai responsabili, grazie alle intercettazioni telefoniche e anche all’improvvisa disponibilità economica palesata da uno dei malviventi. In quattro furono arrestati mentre Biagio Reca si è sempre processato innocente ed ha deciso di andare a dibattimento per dimostrare la sua estraneità all’agguato. All’epoca Reca era stato denunciato, mentre i tre banditi originari della Campania e Russini, napoletano di origine, furono arrestati dai detective comandati dal commissario Marchese. Gli stessi investigatori, a distanza di mesi dai fatti, non riuscirono però a scoprire che fine avesse fatto l’oro rapinato al confine.

In aula potrebbero essere sentiti anche i responsabili della “Sped In”, l’azienda vicentina che all’epoca scoprì di avere un dipendente infedele. In occasione della rapina, fra l’altro, era intervenuto Vincenzo De Vicario, del sindacato di guardie giurate Savip, che aveva sottolineato come da un lato un viaggio con un carico del genere compiuto da due sole guardie le aveva esposte ad un rischio eccessivo, e dall’altro poi come in questo modo l’infedeltà di qualche dipendente fosse così più diffusa. Ora, lo stesso Del Vicario ha commentato che per quel genere di gestione 51 operai sono rimasti senza lavoro. «Chi ne fa le spese sono sempre i dipendenti».

«Purtroppo non avevo vie d’uscita – ha detto l’imprenditore orafo Alessio davanti al tribunale giuliano -. Sono ricorso al credito bancario per poter continuare l’attività, ma i tassi praticati per me erano maggiori del guadagno, ed ho dovuto chiudere la ditta».

«La mia azienda fallì dopo la rapina d’oro»ultima modifica: 2009-06-12T11:15:00+02:00da sagittario290