Chiusa l’inchiesta sul presunto basista

NUORO E PROVINCIA

Mercoledì 15 aprile 2009

Rapina al caveau. Mosè Ledda, in cella da un anno, è sospettato del colpo alla Over che fruttò 3 milioni e mezzo di euro

Chiusa l’inchiesta sul presunto basista

Stralciata la posizione di altri sei indagati a piede libero

L’ex dipendente dell’istituto di vigilanza è accusato anche di alcuni attentati contro un collega. Nel giro di pochi giorni nei suoi confronti dovrebbe essere formulata la richiesta di rinvio a giudizio.

La Procura di Nuoro ha chiuso la prima parte dell’inchiesta sulla rapina messa a segno nel maggio di tre anni fa nel caveau della Over Security che fruttò ai malviventi 3 milioni e mezzo di euro. Un avviso di garanzia – tecnicamente di chiusa indagine – è stato notificato nei giorni scorsi all’unico dei presunti rapinatori finito in carcere: Mosè Ledda, 34 anni di Nuoro, l’ex dipendente dell’istituto di vigilanza che secondo gli inquirenti avrebbe avuto il ruolo di basista del colpo. A stretto giro di posta il pm dovrebbe formalizzare nei suoi confronti la richiesta di rinvio a giudizio.

Nell’inchiesta figurano inoltre altri sei indagati la cui posizione è stata però stralciata: le indagini nei loro confronti proseguono, anche se per ora restano tutti a piede libero, segno che gli indizi raccolti a loro carico in oltre due anni e mezzo di attività investigativa al momento sono tutt’altro che consistenti.

L’ARRESTO DEL PRESUNTO BASISTA Diversa invece la situazione di Ledda, che si licenziò dalla Over qualche giorno dopo la rapina, anche se nel provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti nel maggio dello scorso anno un ruolo decisivo lo ha giocato il suo presunto coinvolgimento negli attentati subiti tra il 2007 e il 2008 da un altro dipendente della Over Security. Arresto a parte, nel 2008 al giovane era stato anche messo sotto sequestro per ben due volte il pub di via Piave che gestiva da alcuni mesi. Il secondo provvedimento firmato dal pm Lara Ghirardi, che dopo il suo trasferimento da Nuoro ha passato l’inchiesta alla collega Ornella Chicca, risale a giugno: secondo l’ipotesi accusatoria il locale era stato infatti ristrutturato e avviato proprio utilizzando parte del bottino della rapina. Una convinzione minata però dal successivo pronunciamento del Riesame, che accogliendo la richiesta dei legali di Ledda – gli avvocati Gianni Sannio e Angelo Magliocchetti – aveva negato l’esistenza di indizi sufficienti per sostenere che l’indagato avesse effettivamente riciclato il bottino rimettendo a nuovo il locale.

IL PRIMO SEQUESTRO Il primo sequestro era invece avvenuto tre mesi prima e in quell’occasione il magistrato inquirente aveva giustificato l’apposizione dei sigilli al pub (ma anche alle case di Ledda) con l’esigenza di cercare all’interno tracce utili alle indagini, cioè soldi, armi o altri indizi significativi, come ad esempio le fascette della Banca D’Italia che avvolgevano le banconote trafugate dal caveau. Materiale che non era stato però mai trovato, tanto che dopo circa un mese e mezzo in cui il locale di via Piave era stato passato letteralmente ai raggi X (i muri erano stati controllati con uno speciale scanner per scovare l’esistenza di nicchie) lo stesso pm aveva firmato il provvedimento di dissequestro.

PRIMO BLITZ La svolta all’inchiesta era scattata l’11 marzo dello scorso anno, quando una cinquantina di carabinieri della compagnia di Nuoro avevano passato al setaccio appartamenti, cantine e altri locali utilizzati dalle persone iscritte nel registro degli indagati per rapina aggravata. Successivamente la procura di Nuoro aveva disposto accertamenti bancari su una serie di conti correnti riconducibile ai sette sospettati. Un’attività complessa, passata per il sequestro di assegni e controlli bancari eseguiti anche all’estero, attraverso cui gli inquirenti sarebbero riusciti a rintracciare una parte – pare circa trecentomila euro – del bottino. Sino all’arresto di Ledda, avvenuto a maggio.

LA RAPINA DEL SECOLO Il colpo, il più ricco mai messo a segno in Sardegna, era avvenuto attorno alle 7,50 del mattino del 23 maggio del 2006, quando sette uomini armati sino ai denti si erano introdotti nei locali dell’istituto di vigilanza privata in via Einstein muovendosi come se fossero a casa loro. Avevano anche tenuto in ostaggio per pochi minuti alcuni condomini ma l’unica concessione alla violenza era stato il colpo assestato, con il calcio del fucile, sul naso di una guardia giurata. Per il resto, una rapina a regola d’arte: i banditi, con in mano la combinazione della cassaforte incredibilmente appuntata su un foglietto, avevano riempito alcuni sacchi con circa tre milioni e mezzo in contanti e, prima di uscire, si erano anche preoccupati di portare via i due hard disk con le registrazioni delle telecamere di sicurezza.

MASSIMO LEDDA

Chiusa l’inchiesta sul presunto basistaultima modifica: 2009-04-16T11:45:00+02:00da sagittario290