L’ombra della mafia siciliana sulla Puglia


26/3/2009

L’ombra della mafia siciliana sulla Puglia

Marisa Ingrosso

29807.jpgArmi dalla Sicilia per una rapina ad una gioielleria di Modugno (Bari), poi sfumata all’ultimo momento. Esplosivo al plastico e relativo detonatore, acquistati nel Barese, ma da impiegare in Sicilia per rapinare un furgone portavalori. Inoltre, impegni di lavoro in Puglia nonché traffici e solidi rapporti d’amicizia.
C’è un inquietante «fronte» pugliese che emerge dalle intercettazioni che, ieri, hanno portato in carcere sette siciliani accusati a vario titolo di associazione mafiosa e associazione per delinquere, detenzione di armi ed esplosivi, sequestro di persona a scopo di estorsione, con l’aggravante per tutti di essere un’associazione armata.
Le otto ordinanze (uno dei destinatari è irreperibile) sono state firmate dal gip di Caltanissetta, Giuseppina Bonaventura Giunta, su richiesta del procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia, Sergio Lari, dell’aggiunto Domenico Gozzo e del sostituto Nicolò Marino.
L’organizzazione sarebbe stata capeggiata da Vincenzo Pistritto, 41 anni, pregiudicato di Gela (ma spesso presente nel territorio di Bari e provincia) e considerato personaggio di primo piano della Stidda di Gela. Spicca poi la presenza – per certi versi «carismatica»  – di un ex militante delle Brigate Rosse, ovvero Calogero La Mantia (59 anni, originario di Sommatino, ma residente a Gela).
Gli altri arrestati sono: Emanuele Scicolone (un carpentiere del ’78, arrestato a Cremona); Graziano Russello operaio 27enne; il coetaneo Salvatore Ganci (carpentiere); Carmelo Di Pietro, 29 anni, pastore, e Gianluca Scollo.
Stando alle intercettazioni, i sette, sognavano di fare tanti soldi e trasferirsi alle Isole Cayman. Non sapevano che i carabinieri della compagnia di Gela (che li hanno tratti in arresto unitamente al reparto operativo del comando provinciale di Caltanissetta), avevano disseminato di «cimici» le loro auto e ascoltavano le loro conversazioni telefoniche.
È stato proprio grazie alle intercettazioni che gli investigatori si sono convinti che i presunti mafiosi stessero per rapire il banchiere siciliano Giovanni Cartia, nonché l’imprenditore di Gela Vincenzo Cavallaro.
Il rapimento del banchiere pare fosse in progetto per i prossimi giorni (entro Pasqua) ed ecco perché ieri sono scattate le manette.
Quanto alla progettata rapina al furgone portavalori siciliano, anch’essa non andò in porto e, come detto, i Carabinieri sono sicuri che l’esplosivo sia stato procurato da baresi. Pare fosse del plastico, tanto che in una intercettazione, uno degli arrestati spiega come usarlo: «Come che dobbiamo fare, gliela appiccichi nel vetro, come loro non aprono gliela accendi Totò».

IN SICILIA ERANO SOTTO TIRO UN BANCHIERE E UN IMPRENDITORE
Giovanni Cartia, il banchiere che doveva essere rapito in Sicilia dalla banda guidata dall’ex Br Calogero La Mantia, fa parte della storica famiglia che partecipò nel 1889 alla fondazione della Banca popolare cooperativa di Ragusa, oggi Banca Agricola popolare. Mite ma tutto d’un pezzo, Giovanni Cartia, che oggi ha 81 anni, ha seguito le orme del nonno Luigi e del padre Giovambattista, ricoprendo diversi ruoli nella Banca popolare, che ha segnato la sua intera carriere di banchiere. Dopo un’esperienza nella Banca del Lavoro di Catania e come preposto della succursale di Comiso della Banca Agricola Popolare, nel 1961 è responsabile dell’ufficio fidi presso la sede centrale della Agricola Popolare; nominato condirettore nel 1965, il Consiglio di amministrazione nel 1970 gli conferisce l’incarico di direttore centrale, poi direttore generale. A partire dal 1971 la Banca che opera a Ragusa con 19 sportelli, sotto la direzione di Giovanni Cartia e la presidenza del padre Giovambattista, apre nuove agenzie e penetra nella provincia di Catania. Per 31 anni Giovanni Cartia guida la Banca «di famiglia», fino al 2001 quando lascia l’incarico di direttore generale per assumere quello di vice presidente del Cda e amministratore delegato. In questo ruolo il banchiere rafforza la sua figura di punto di riferimento di una intera comunità. Nel 2002 assume anche la carica di presidente della Banca che, dopo aver acquisito dieci sportelli dal Banco di Sicilia, oggi opera con 96 agenzie in Sicilia e una a Milano.

Volevano rapire anche Vincenzo Cavallaro imprenditore di Gela, davanti alla cui villa alcuni criminali erano appostati per scegliere il momento giusto per incappucciarlo e portarselo via. In entrambi i casi, i malviventi avevano individuato un covo sicuro a Comiso.

L’ombra della mafia siciliana sulla Pugliaultima modifica: 2009-03-27T11:00:00+01:00da sagittario290