Doveva essere una strage

Edizione CASERTA

LA CAMORRA LE INCHIESTE

21/03/2009

Doveva essere una strage

HE10_3308.jpgSTELLA VIGLIOTTI Doveva essere una strage. Le tre «bombe di Maradona» collocate nel giardino di casa del boss defunto Angelo Amoroso, non erano affatto una «semplice» intimidazione. Gli ordigni, collegati alla bombola di gas per il barbecue, dovevano esplodere, sventrare la palazzina al civico 14 di via Raffaele Palladini e uccidere la vedova di Amoroso, Lucia Picillo, e l’intera famiglia. Non importava affatto che nella deflagrazione sarebbero stati coinvolti i residenti della zona, estranei alla guerra di camorra intestina alla cosca Amoroso-Picillo. L’unico obiettivo di Clemente Di Crescenzo, detto Boxic, era quello vendicare la morte del fratello Vincenzo, ucciso in un agguato a gennaio. Gli intenti stragisti di Clemente «boxic» si evincono dalle conversazioni traa Angelo Esposito, la moglie Filomena Cristiano e Pietro Fulgieri, esecutore materiale dell’attentato dinamitardo poi sfumato il 5 marzo. Conversazioni intercettate dai carabinieri di Maddaloni. Il «bar» e la «pittura» erano i nomi in codice che indicavano rispettivamente la residenza della Picillo (che avrebbe sollecitato a Marcianise l’omicidio di Vincenzo Di Crescenzo) e l’ordigno esplosivo; il «pittore» era, invece, Pietro Fulgieri, colui che ha posizionato la bomba. «Angioletto non sbagliare bar, facciamo una figura di merda. Fallo pittare davanti, ma bene». Clemente voleva che l’ordigno fosse collocato dinanzi all’abitazione della Picillo, ma «il pittore ha avuto un contrattempo – lo informava Angelo il giorno seguente – lui ha detto che dietro è più facile a pittare». E Clemente aveva dato il consenso: «Va bene basta che pitta, jà». Ma l’esecuzione dell’attentato non avvenne secondo i piani. L’innesco della bomba, poi posizionata nel giardino di casa Amoroso, sulla parete della stanza da letto della figlia maggiore del boss, si era spenta a causa del mal tempo. Clemente aveva commentato senza giri di parole l’accaduto: «Angioletto, la bomba se la dai in mano a un professionista quelli tanto se ne andava quanto zombava, perché a cento metri non zomba, torna un’altra volta indietro, l’accendeva un’altra volta». Il «pittore», invece, aveva avuto fretta di scappare, tanto è vero che aveva lasciato sul posto le scale usate per poter scavalcare il muro di 4 metri che separa l’abitazione della famiglia Amoroso dalle campagne retrostanti. Dalle intercettazioni telefoniche si evince la pressione a cui erano soggetti i bombaroli da parte del commissariato di polizia, che aveva intensificato i controlli e le perquisizioni, riuscendo, sulla scorta degli elementi raccolti, a revocare la licenza del porto d’armi ad Angelo Esposito, impiegato come GUARDIA GIURATA. Intanto il gip ha convalidato i fermi emessi dalla Dda di Napoli degli arrestati martedì mattina. Solo per Filomena Cristiano è decaduta l’aggravante del metodo mafioso, pur restando indagata per associazione camorristica. Inoltre i recenti arresti dell’Arma hanno permesso di delineare gli attuali scenari criminali a Maddaloni, che vedono contrapporsi i clan Farina-D’Albenzio, sponsorizzati dai Casalesi, e la cosca Amoroso-Picillo, cartello dei Belforte, a sua volta però spaccato, a causa dei contrasti di natura economica sorti fra Lucia Picillo e la cognata, moglie del fratello Carlo, all’epoca dei fatti detenuto. È proprio qui che si trova la chiave di lettura dell’omicidio di Vincenzo Di Crescenzo, secondo gli inquirenti autorizzato dai Belforte, per rimarcare la supremazia della vedova Amoroso sul territorio, nel frattempo in forte dissidio con il fratello Carlo.

Doveva essere una strageultima modifica: 2009-03-22T11:00:00+01:00da sagittario290