28 dicembre 2008
Il lungo elenco dei latitanti illustri
C’è forse qualche morto, sicuramente un mucchio di primule rosse e molti capi bastone che hanno voglia, necessità, di continuare a stare vicino ai propri affari. C’è questo e molto altro nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del «programma speciale di ricerca» selezionati dal gruppo integrato interforze del ministero dell’interno. In quel gruppo di facce da foto segnaletica fino a oggi, ci si poteva trovare anche il boss di `Ndrangheta Pietro Criaco.
La pagina web del Viminale entro breve però sarà aggiornata e un altro volto, un’altra storia, un’altra scheda succinta, andrà a far mostra di sè. Perché il male bisogna vederlo, e come scriveva Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, «è un errore enorme teorizzare a vuoto». Il primo riquadro a sinistra è quello di Vito Badalamenti. Di lui non si hanno notizie certe dal 1995. Ricercato per associazione di tipo mafioso. Dal novembre del 2000 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, «per arresto ai fini estradizionali». Nato a Cinisi, 51 anni, è destinato con tutta probabilità a diventare l’erede di Provenzano in quanto a misteri. Del suo amore per i viaggi all’estero, soprattutto verso mete esotiche, si ha notizia sin dai primi anni della sua brillante carriera mafiosa.
Altro soggetto di primissimo livello, tra i più segnalati nei registri di polizia, c’è sicuramente Matteo Messina Denaro, 46 anni, soprannominato Diabolik. Ricercato dal 1993 per associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro. Secondo il pentito Antonino Giuffrè, Messina Denaro era il gioiello di Riina, «il depositario del suo archivio». A lui qualcuno ha attribuito la frase forse tratta dal qualche vecchio film western, «con le persone che ho ammazzato, io potrei fare un cimitero». Altro uomo di mafia è Paolo Di Mauro, 56 anni, detto Paolo Puntina, facente capo alla famiglia Santapaola. Ricercato dal 2003 per associazione di tipo mafioso, omicidio ed altro deve espiare 17 anni e 10 mesi di reclusione. Oppure c’è anche Giuseppe Falsone, 38 anni, ricercato dal ´99. E’ considerato uno dei capi di Cosa nostra nella provincia di Agrigento, assieme a Gerlandino Messina. Il 24 giugno 1991 Vincenzo Falsone ed il figlio Angelo, fratello maggiore di Giuseppe, furono uccisi dalla Stidda durante una guerra con le famiglie di Cosa nostra. Giuseppe prese il controllo della famiglia mafiosa quando non aveva ancora 21 anni. Per rappresaglia Falsone uccise Salvatore Ingaglio, responsabile dell’assassinio del padre e del fratello. I principali interessi criminali di Falsone sono le estorsioni ed i contratti nei lavori pubblici. Nel luglio 2004 beni del valore di 2 milioni di euro sono stati confiscati dalla polizia, tra cui beni immobiliari, 100 ettari di terreni agricoli, un’industria vinicola e delle compagnie di trasporto. La madre, la sorella ed il fratello di Falsone furono anche arrestati. Nei pizzini di Provenzano, Falsone è indicato con il numero 28.
Passando alla `Ndrangheta, altro nome che spicca dalla lista è quello di Carmelo Barbaro, a cui di recente sono stati confiscati beni per un milione euro. Lui è considerato dagli investigatori un esponente di spicco della cosca De Stefano-Tegano. A suo carico pende una condanna definitiva a 22 anni di reclusione per associazione mafiosa ed omicidio. Alcuni collaboratori di giustizia lo hanno indicato come l’esecutore materiale di alcuni omicidi accaduti nel corso della guerra di mafia a Reggio Calabria. Tra i più giovani della lista c’è certamente Raffaele Arzu, poco più che ventenne, sardo, al vertice di una banda che assalta furgoni portavalori. Nel luglio scorso ha guidato un commando di 12 uomini che con un assalto sulla A14 ha ricavato un bottino del valore di un milione di euro. Tra poi le ultime «fughe» che hanno fatto parlare c’è sicuramente quella del camorrista Giuseppe Setola, mente del massacro di Castel Volturno. E lui è sicuramente portatore di una vicenda criminale con molti mal di pancia per gli investigatori. In passato, dopo essersi finto cieco, fu trasferito dal carcere ad un centro clinico dove poi gli fu facile scappare. Ci sono poi i morti, veri o presunti, a cominciare da Attilio Cubeddu, dalla banda sarda che rapì Giovanni Soffiantini. Fino a quando non c’è certezza del decesso – spiegano gli investigatori – quei file restano aperti, cold case che grondano sangue e chiedono giustizia. «Perché dietro ad ogni volto, c’è una vittima, decine, centinaia di vittime».