Dopo ventidue anni, ecco il processo

Edizione Padova

Venerdi’ 10 Ottobre 2008

Dopo ventidue anni, ecco il processo

A giudizio in Corte d’assise due pezzi da novanta del Piovese

Gianni Nardini aveva solo ventisei anni. Friulano di Pocenia, faceva il camionista. Sgobbava dalla mattina alla sera. Come suo padre, escavatorista nei cantieri. La notte del 21 ottobre 1987 il giovane aututrasportatore era stato preso in ostaggio da un commando di malviventi. Volevano usare il suo camion per bloccare un furgone blindato portavalori della North East Service, carico d’oro, destinato ai laboratori orafi vicentini. I banditi avevano avuto la soffiata giusta. L’agguato era scattato alle quattro e mezza del mattino, sull’autostrada A13, all’altezza di Boara. Appena superato il ponte sull’Adige il blindato si era trovato intrappolato tra il camion e un’auto. I vigilantes avevano dato subito l’allarme via radio, rimbalzato alla centrale operativa della Questura di Vicenza e poi diramato alle pattuglie. Un furgone Ducato della Polstrada si trovava a poca distanza. E gli agenti erano intervenuti subito. I banditi, tutti con giubbetto antiproiettile, non avevano esitato a usare Gianni Nardini come scudo. Avevano costretto i poliziotti a posare le armi. Poi avevano aperto il fuoco con i fucili a pompa caricati a pallettoni. Il giovane camionista era riuscito a fuggire, a scavalcare il guard rail e a correre verso gli agenti, uno dei quali, Aldo Sanco, era già ferito. Nardini era stato falciato dal fuoco incrociato ed era stramazzato sull’asfalto mentre i banditi si erano dileguati a bordo di una Golf.

Le indagini non avevano portato a nulla. Inchiesta archiviata. A riesumarla è stato il pubblico ministero Renza Cescon, sulla base della chilometrica confessione di Stefano Galletto, rapinatore con pedigree. E sotto accusa per concorso in omicidio sono finiti due pezzi da novanta della mala del Piovese, Ercole Salvan e Andrea Batacchi. Il primo si porta a spasso un proiettile conficcato nel gluteo: e anche se gli procura seri problemi cardiaci, si guarda bene dal farselo togliere. Secondo il pm quell’ogiva è la prova che partecipò al sanguinoso assalto.

Ieri l’udienza preliminare. Il giudice Cavaggion ha disposto il rinvio a giudizio. Salvan e Batacchi – difesi dagli avvocati Giori, Taschin e Capuzzo – compariranno dinanzi ai giudici dell’Assise l’11 marzo prossimo.

Parte civile la madre del povero camionista, Graziella. La donna, che è tutelata dall’avvocato Gargiulo, ieri era presente in aula assieme agli altri due figli, Manuela e Gianfranco. Solo lei si è costituita nel procedimento: vuole essere l’unica a rischiare, ad esporsi contro due avanzi di galera.

La morte del figlio “vale” 340 euro al mese. Perchè questa è l’indennità che l’Inail riconosce per quello che fu un tragico infortunio sul lavoro. Dallo Stato neanche una lira. Potrebbe accedere allo speciale fondo istituito nel 1990 per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. Ma l’omicidio di Gianni Nardini è qualificato come delitto “semplice”, e non rientra tra i “reati-fine” dell’associazione di stampo mafioso contestata agli ex componenti della mala che insanguinò il Piovese e la Riviera del Brenta. Il reato associativo è contestato a Batacchi in un processo in corso a Venezia, non ancora concluso con sentenza. Ma l’ex boss Felice Maniero, il cui pentimento smantellò la banda, ha più volte detto che sulle rapine lasciava libera iniziativa, senza intascare percentuali. Gli bastavano – e ce n’era d’avanzo – i lauti guadagni del traffico internazionale di droga.

Mamma Graziella è uscita a testa alta dall’aula d’udienza. E non vede l’ora che su quel figlio morto ammazzato splenda la luce della verità. Almeno dopo ventidue anni.

G.Colt.

Dopo ventidue anni, ecco il processoultima modifica: 2008-10-11T12:13:00+02:00da sagittario290