Le tante ronde della comunità perduta

CRONACA 

La Repubblica – 11 mag 09:49

MAPPE

Le tante ronde
della comunità perduta

di ILVO DIAMANTI

A VOLTE l’ideologia impedisce di riconoscere le cose. Occhiali deformanti, che sfalsano la percezione di chi osserva. Coerentemente con l’intenzione che anima i protagonisti della scena osservata. È il caso (uno dei tanti) delle “ronde padane”.

Associazione di volontari che pattugliano il territorio e i quartieri, di città e paesi del Nord, per denunciare – e inibire – l’illegalità e la criminalità comune. Stigmatizzate alla stregua di squadracce fasciste, da chi è ostile alla Lega e, in generale, alle iniziative che “privatizzano” la gestione della sicurezza e dell’ordine pubblico. Contro “i nemici che vengono da fuori”.

Immigrati, stranieri, nomadi e poveracci. Considerate, al contrario, un metodo di “autodifesa dei cittadini indifesi”. Lasciati soli dalle istituzioni, abbandonati dalle forze dell’ordine. Si tratta di posizioni speculari. Le accuse colpiscono il bersaglio accogliendo la definizione tracciata dagli autori. Dalla Lega. E, in primo luogo, dal promotore e organizzatore dell’iniziativa.

L’on. Mario Borghezio. Sempre all’avanguardia nella lotta contro i “nemici della civiltà padana”. Contro il musulmano, l’islamico, l’immigrato (non necessariamente) clandestino e irregolare. Tuttavia, viste da vicino, queste camicie verdi sparse sul territorio, non rammentano le camicie nere che prepararono l’avvento del fascismo. Terrorizzando, davvero, prima e durante il ventennio, gli oppositori o, semplicemente, gli scettici e i tiepidi nei confronti del regime. Le “ronde padane” sono “dopolavoristi”.

Militanti di partito sguinzagliati per le strade: a piedi, in bicicletta, talora in auto. Cellulare alla mano, per segnalare ai vigili e alle questure eventuali presenze sospette. Per denunciare minacce, prima ancora che veri episodi di illegalità. Ora, promettono Borghezio e i padani, le cose cambieranno. Con il sostegno del neoministro Maroni, le ronde verranno istituzionalizzate. Ma, per ora, la loro azione non sembra troppo efficace. Più che per i criminali, inoltre, l’attività delle ronde è pericolosa per le ronde stesse.

Che si troverebbero a mal partito se dovessero trovarsi di fronte spacciatori, banditi o protettori – agguerriti e senza scrupoli. Tanto che, non di rado, mentre le ronde proteggono i cittadini, la polizia locale è chiamata a proteggere le ronde. Le quali, più degli immigrati irregolari, disturbano, talora, quelli regolari. Non a caso, An, in molte realtà locali, ne ha criticato l’impiego, con definizioni sprezzanti, proponendo e opponendo, in alternativa, il reclutamento di vigilantes professionisti.

Tuttavia, le ronde continuano a suscitare un dibattito che resta acceso. E sembrano, perfino, riscuotere un certo consenso. Come suggeriscono tre diversi segnali. (a) Anzitutto, l’elezione di due “sperimentatori”. Gianpaolo Vallardi, sindaco di Chiarano, e Gianluca Forcolin, sindaco di Musile di Piave. Entrambi leghisti. Passati dal Parlamento padano a quello romano.

(b) La fiducia sociale nei loro confronti cresce, come rivela, da ultimo, da un sondaggio condotto da Ipsos (per Vanity, aprile 2008), da cui emerge che il 53% dei cittadini vede con favore il ricorso alle ronde (contrario il 43%).

(c) La riproduzione diffusa dell’esperimento, riveduto e corretto. Infatti, numerosi comuni, alcuni governati dal centrosinistra (Firenze e Bologna, fra gli altri), hanno istituito oppure stanno istituendo servizi di vigilanza (informazione, attenzione…) “volontaria”, affidati ai cittadini. Talora, poliziotti in pensione. Spesso, persone comuni, a volte giovani.

Naturalmente, le amministrazioni di centrosinistra e i partiti che le sostengono negano ogni parentela con l’esperienza “rondista”. Soprattutto perché si tratta di iniziative pubbliche, promosse dagli enti locali. Senza bandiera né etichetta politica. E senza pregiudizi. Tuttavia, l’affinità è innegabile. Chiamiamole “ronde democratiche” o “italiane”. Tentativi (magari non “faziosi”) di rispondere al medesimo problema: la sicurezza. O meglio l’insicurezza “locale”. Cresciuta, esponenzialmente, negli ultimi anni. Insieme ai reati definiti “minori”, nel linguaggio corrente. “Maggiori”, nella percezione sociale, perché toccano direttamente le persone.

I furti in appartamento. Ma anche quelli di auto e di motorini. Questi reati, nel corso degli anni, sono cresciuti. Anche se, nello stesso periodo, gli immobili, le auto e i motorini sono, a loro volta, cresciuti in misura forse maggiore. Il divario tra i fatti e la percezione, peraltro, è elevato. L’incidenza dei furti in appartamento (e, quindi, la probabilità che avvengano) è di circa dello 0,23% (Fonte Min. Interni 2006). Mentre il timore di esserne vittima coinvolge il 23% dei cittadini (Inchiesta Demos-Unipolis, ottobre 2007).

Una quota di persone, cioè, 100 volte superiore. Tuttavia, richiamare lo iato fra realtà e percezione non serve. Dal punto di vista sociale, le percezioni contano più dei fatti. Per cui l’insicurezza e la paura “sono”. Esistono. “Dati” pesanti e concreti. Inutile girarci intorno.

La distanza fra realtà e rappresentazione limita, semmai, l’efficacia delle soluzioni. La lotta all’immigrazione. Ai romeni. Agli zingari. Oggetto, non a caso, dei primi provvedimenti annunciati dal governo. Non può garantire rassicurazione, perché indica bersagli precisi quanto limitati. E, soprattutto, lontani dall’origine vera dell’insicurezza. Che risale, principalmente, al cambiamento violento e profondo del nostro mondo.

Il nostro ambiente di vita quotidiana: non ci protegge più. Un tempo, neppure troppo tempo fa, era visibile, vivibile e vissuto. Impigliato in una tela fitta di relazioni sociali e di vicinato. Il territorio esisteva. Vi si passeggiava, incontrando persone conosciute. I “foresti” si individuavano subito. Era facile tenerli d’occhio. Il paese e le città: esistevano. Luoghi di relazione e di incontro. Proteggevano dal “mondo”. Anche se erano costrittivi. E un po’ soffocanti.

Oggi non è più così. Le grandi città sono spesso anonime. Anche i paesi, i villaggi lo stanno diventando. Devastati da una dilatazione urbana senza limiti. Guidata dagli interessi immobiliari assai più che dai disegni delle amministrazioni locali. Sulle strade circolano solo auto e moto. Le piazze: vivono solo nei centri storici. Finché cala la sera e le botteghe chiudono. La gente si rifugia, sempre più, in casa. Il mondo incombe. Ci minaccia da vicino con le sue crisi e le sue guerre. E noi sappiamo tutto, in diretta, attraverso la televisione. Il mondo è tra noi. Ha i volti degli gli stranieri, che popolano la nostra realtà, sempre più numerosi.

L’insicurezza nasce dallo spaesamento. Dal logorarsi dei legami sociali. Dalla solitudine delle persone. Dalla perdita di confidenza con il territorio intorno a noi. Di giorno. Tanto più di sera e la notte. Quando si incontrano solo gli “altri”.

Per questo le terapie contro l’insicurezza si traducono in tentativi di “controllare” il territorio. Dove è divenuto un deserto abbandonato dalla società. Da un lato: attraverso la militarizzazione. La moltiplicazione di polizie pubbliche e private. La cui presenza rassicura e preoccupa al tempo stesso. Perché le auto della polizia o i vigilantes confermano che il pericolo effettivamente c’è. Dall’altro: i sistemi di sorveglianza elettronici. Videocamere ovunque. Fuori dalle case, nelle piazze, accanto a negozi, banche, uffici.

Si tratta di placebo. Soluzioni che rendono più acuto il senso di spaesamento. Rimpiazzano la comunità vigilante con i vigilantes. Gli occhi delle persone con quelli elettronici. Freddi. Scrutano la nebbia attraversata da penombre. Accettano la desertificazione sociale del territorio.

Infine, ci sono le “ronde”. Padane e democratiche. Associazioni e gruppi di volontari. In camicia verde o in borghese. Persone che passano per le strade e per le piazze. Persone che passano dove – e in ore in cui – le persone comuni non passano più. Con la loro presenza tentano di riprodurre tracce di comunità. Oppure, come la Ronda di notte dipinta da Rembrandt, vorrebbero richiamare l’identità urbana, difesa dalle milizie civiche (lo ha suggerito Wlodek Goldkorn).
Si illudono. Imitano un controllo sociale che non esiste – e non può esistere – perché non esiste più la società. Di cui fanno la caricatura.

Sono le ronde della comunità perduta. Più che paura, suscitano nostalgia. E tristezza. Come bonsai piantati in un vaso, dove prima c’era un bosco.

Le tante ronde della comunità perdutaultima modifica: 2008-05-12T11:50:00+02:00da sagittario290