Guardie giurate, l’esercito della paura

Focus La sicurezza

Corriere della Sera – 29 mag 08:01

Guardie giurate, l’esercito della paura

Controlli e piantonamenti: 50 mila al lavoro

Ci sono i morti e ci sono le «pecore nere», nel grande business della vigilanza privata in Italia. Guardie giurate ammazzate (23 negli ultimi sei anni, contando solo gli assalti ai furgoni portavalori) e guardie giurate complici (basisti o «pali» delle rapine). Questa è la cronaca, e la cronaca è fatta di estremi. In mezzo c’è un mondo di imprese che impiega 50 mila persone, fattura 2 miliardi e 400 milioni di euro, dal 2000 a oggi è cresciuto al ritmo del cinque per cento l’anno.

I servizi aumentano e il mercato si allarga. Business della paura? Non solo. Lo dicono i fatti. Le guardie giurate controllano porti, aeroporti, metropolitane, musei, Sert. Tutti i soldi che fisicamente si muovono in Italia, dai rifornimenti per le banche alla distribuzione delle pensioni alle Poste, viaggiano sui loro furgoni blindati, senza scorta delle forze dell’ordine. Le ronde notturne, prima che arrivasse le Lega, erano già il loro lavoro. Uomini che di notte, soli in macchina, pattugliano case, aziende, capannoni, banche e periferie delle città. Lo fanno nell’Italia che vive sempre più assediata da paure vere e presunte. Ecco, in questo contesto, le aziende della vigilanza privata rivendicano: «Abbiamo un ruolo centrale nel sistema di sicurezza di questo Paese».

Il business
Si parte dal numero di imprese, in Italia sono 965. Quasi la metà delle aziende è nata dopo il 2001, quando l’attacco alle Torri Gemelle ha gonfiato la domanda di controllo e sicurezza. I dati sono contenuti nel primo «Rapporto sulla vigilanza privata» presentato ieri da Federsicurezza, la federazione del settore che aderisce a Confcommercio. La sicurezza privata si divide in gran parte tra piantonamenti (48 per cento del fatturato), vigilanza (30%) e trasporto valori (18). Gli allarmi collegati con le centrali degli istituti sono 600 mila. E la stima più accreditata parla di unmilione e 200 mila clienti. Anche qui, i numeri rivelano qualcosa di interessante: se la maggior parte dei cittadini si lamenta per la poca sicurezza, quelli che poi si rivolgono agli istituti di vigilanza sono un numero limitato (appena il 5 per cento del fatturato viene dalla sorveglianza di case e ville). «Le forze dell’ordine giustamente si concentrano sulle zone da allarme rosso—spiega il presidente di Federsicurezza, Luigi Gabriele — e lasciano a noi l’allarme “arancione”, dagli aeroporti alle metropolitane. Siamo essenziali e complementari per la sicurezza del Paese. E ora il nostro ruolo va riconosciuto con un aggiornamento delle regole».

Il decreto regio
Sembra assurdo, ma ancora oggi il lavoro delle guardie giurate è regolamentato da un decreto regio del 1931. Decine di migliaia di uomini che escono con una pistola e indossano giubbotti antiproiettile sono inquadrati come operai generici. Il 13 dicembre dell’anno scorso è arrivata una condanna dell’Unione Europea. Da quel momento l’Italia ha elaborato nuove regole, che aspettano però la ratifica da parte del Governo. Primo: le guardie diventano «incaricati di pubblico servizio». Secondo: fino a oggi, ogni istituto doveva essere autorizzato dal prefetto e poteva lavorare solo nella Provincia per la quale aveva ricevuto l’autorizzazione (sistema bocciato dalla Ue come ostacolo alla libera impresa). Con la nuova legge, questi vincoli dovrebbero essere aboliti. «Faccio un appello accorato alla politica — dice Matteo Balestrero, presidente Assiv, associazione di 160 istituti di vigilanza che aderisce a Confindustria —. Senza un quadro di regole certe, non ci può essere sviluppo. Il rischio è che rimanga tutto ingessato per le aziende serie e si favorisca chi è più “disinvolto”, con forme di concorrenza al limite della legalità». Sotto il boom apparente, si nascondono pesanti ombre: il 47 per cento delle imprese ha chiuso lo scorso anno con il bilancio in rosso.

La strage
Sette gennaio scorso, primo pomeriggio, strada isolata nelle campagne di Massa Marittima. Cinque rapinatori assaltano un furgone della Securpol, lo speronano, sparano alla cieca raffiche di kalashnikov. Raffaele Baldanzi, guardia giurata, 42 anni, padre di un figlio di 12, muore sul colpo. Il suo collega sviene per lo choc, i banditi lo credono morto, «altrimenti avrebbero ammazzato anche lui», dicono quel giorno i carabinieri. Raffaele Baldanzi è l’ultima delle 23 guardie giurate uccise tra 2002 e 2007, solo negli assalti ai furgoni portavalori. Si tratta sempre di rapine violente, feroci, simili ad azioni da guerra. Negli ultimi sei anni sono state 242, passando dalle 30 del 2002 alle 52 del 2007. A tenere le statistiche è il Sindacato nazionale guardie giurate (autonomo). Il segretario, Marco Fusco, è una guardia che lavora a Rimini, un tipo tosto, caparbio. Uno che ce la mette tutta perché non sopporta più di «vedere i colleghi che fanno sei-sette ore di straordinario e poi si schiantano tornando a casa». Non accetta che «padri di famiglia vengano mandati allo sbaraglio».

Fusco denuncia una condizione di vita a volte infernale: «Se sono in autostrada con un portavalori e trovo traffico, devo restare incolonnato. Anche se trasporto cinque milioni di euro e in quel momento sono un bersaglio, non posso usare i lampeggianti, né andare in corsia d’emergenza». E ancora: «La paga base è 980 euro lordi». Se non fai straordinari non campi. «Ma le nostre aziende chiedono 20 euro l’ora più Iva per i nostri servizi. Sapete quanti di quei soldi vanno alla guardia? Cinque euro e 60». Il lato oscuro del business della vigilanza si alimenta tra vecchie regole e pochi controlli. «Se la legge dice che per il trasporto valori servono tre guardie — conclude Fusco— e l’azienda ne manda solo due, il datore di lavoro deve andare in galera. Perché in quel momento sta giocando con la vita dei propri dipendenti. E chi controlla? Ho 15 anni di esperienza: non ho mai visto un portavalori fermato per ispezione».

Guardie giurate, l’esercito della pauraultima modifica: 2008-05-30T11:00:00+02:00da sagittario290