Helsinki, la luce breve e il freddo che purifica

Edizione NAZIONALE

20/01/2008

Helsinki, la luce breve e il freddo che purifica

MARCO CIRIELLO

Helsinki. Staccarsi da Helsinki è davvero difficile ma non impossibile. Le sue strade senza voce sono un abbraccio irresistibile. Non è una città teatro, non si mostra, non è in esposizione, per questo l’ho scelta. Ha un cielo di carta che grigio si stende sulle case, che diventa familiare in poco, imparando a leggerlo come un vecchio giornale prima dell’avvento del colore. Venire qui significa lasciarsi la volgarità alle spalle e immergersi in un silenzio che fa il verso alla pulizia del freddo. La sobrietà della vita, permea gli animi, vince persino l’invadenza dei giorni di festa. Potrei anche abitare a Helsinki: con le sue bellissime case, l’architettura semplice e mai banale: una combinazione spaziale senza nessun ornamento, i suoi tagli enormi: mattoni e luce, una attenzione al design che mi fa impazzire: «La sicurezza degli oggetti», viene da pensare a quel film di Rose Troche, guardando all’attenzione dei finlandesi per le cose – anche se i motivi d’interesse sono diversi: nel film era una questione di salvezza, qui si tratta di alta qualità e buon gusto – e agli interni perché possono usare poco l’esterno. Lo spazio interno diventa fondamentale, anche se poi quando si esce l’ordine rimane, e anche l’estetica degli edifici non ha la prevaricante cafonaggine delle città americane, né il nostro miscuglio di generi. Helsinki è una città del presente, non ha macerie, era moderna già nel passato e ora è perfetta, se si esclude il quartiere, Kaivopuisto: dacie russe, ville jugend, fra strade di olmi e betulle e affaccio sul mare, qui è difficile trovare un quartiere che guardi al passato. La città è attuale come poche, senti che parla il tempo dei giorni che vengono e i nuovi quartieri si pensano a tema: come quello di Arabianranta, progettato apposta per gli anziani e divenuto un caso-scuola per gli urbanisti. È un paese in evoluzione, in poco quello che era prevalentemente agrario si è trasformato diventando tecnologico e molto ricco, senza trascurarsi: la Finlandia ha un tasso d’istruzione altissimo, quasi pari al 100%, solo che i ragazzi preferiscono ai libri i computer. Non a caso in questa città, Linus Torvalds ha dato vita al nocciolo del sistema operativo Linux, l’alternativa a Windows e a Bill Gates. Il mio unico problema è la luce: nel primo pomeriggio, subito dopo pranzo, il sole tramonta e a me pare di buttare via il tempo, è come se passasse in fretta, lo so è una osservazione da contadino, ma è così e ci sto male. Non ho sofferto il freddo, ma piuttosto questa brevità del giorno che mi porta via il buon umore accumulato nel mattino speso in lunghe passeggiate. L’altro pomeriggio per fuggire a questo stato d’animo ho preso un traghetto e sono andato sull’isola di Suomenlinna, ho seguito un gruppo di persone che erano con me, finendo in una chiesa-faro, e una volta varcata la soglia sono stato investito da note mozartiane: era in corso un concerto in omaggio al prodigio austriaco. Poi alla fine il maestro ha ricordato Stockhausen, scomparso di recente. La musica, le pareti bianche e spoglie: prive di statue, i sorrisi della gente, mi hanno rinfrancato. Alla fine ho camminato visitando la fortezza, o meglio quello che ne resta, e dopo un lungo giro: fra case di legno e strade di terra ho chiuso davanti al grande albero illuminato nella piccola piazza, e quando ho ripreso il mio traghetto, avevo in petto un carico di emozioni. Ho sentito la bellezza della semplicità, apparsa per caso in un pomeriggio buio. Al ritorno, passando accanto alle grandi navi da crociera «Viking Line» e alla gente che dal ponte, stralunata, ci guardava e salutava – appena arrivata cercava appigli prima di scendere, di avventurarsi nella città a loro sconosciuta. A me invece le luci di Helsinki mi sembravano familiari, ho avuto un sentimento di nostalgia per un posto non mio. A sera sono andato al ristorante Savoy disegnato da Alvar Aalto, ma solo a dare uno sguardo, non potevo permettermi di mangiare lì, anche se ho pensato che ci veniva Curzio Malaparte, forse c’era passato Indro Montanelli (che alloggiava all’hotel Kamp), e di sicuro c’era stato Guido Piovene. Adesso è la meta estiva di Sandro Viola. In metropolitana guardando in faccia la gente mi sono accorto che davvero i finlandesi sono un po’ buffi, stralunati, come li rappresenta Aki Kaurismäki nei suoi film, e quando poche sere fa mi sono ritrovato a mangiare per strada hot dog in un parco con un METRONOTTE e un cuoco nero, ho preso a ridere da solo. È una città magica, di notte, sarà il buio intenso, sarà la gente, non mi meraviglierei di vedere pattinare Fred Astaire sotto la torre dell’orologio. Ma la cosa più buffa è che non avevo una cartina né una guida e il primo giorno ne ho preso una nella hall dell’albergo, ritrovandomi a cercare il povero Eliel Saarinen e la sua elegante stazione fra i McDonald’s e PizzaHut, che erano bene evidenziati sulla mappa. Una volta nel letto, ho pensato che la vita qui è durata un poco in più, ma che già domani sentirò forte l’istinto di andarmene. Ormai l’entusiasmo per i posti che visito e racconto è altissimo appena atterra l’aereo, poi si attenua mentre trovo un alloggio, risale al mattino davanti alla sensazione d’esser perso e poi già verso l’ora di pranzo diventa routine. Ero all’ultimo piano del museo d’arte contemporanea Kiasma, di Steven Holl, che ha una rampa magnifica, rimuginavo su un video dell’artista danese Jesper Just, molto «davidlynch» privo di parole, c’era solo un fischio inquietante che teneva il filo di una storia senza tempo con donne, ombre cinesi e una buia sala da ballo, quando ho capito che i miei giorni a Helsinki erano finiti. Se lo racconti la gente non capisce come un uomo possa sentirsi vivo solo in viaggio e possa stare malissimo appena un luogo gli diventa familiare. Da noi persino l’inquietudine deve essere consueta, riconducibile ad altri, non puoi avere un malessere singolare, è la nostra condanna: tutto deve essere estendibile.C’è una storiella ebrea che parla di un russo che emigra in Israele. Dopo qualche tempo comincia a sentire la mancanza della Russia e torna indietro. Poi cambia idea e ritorna in Israele. E via così per diverse volte. Finché non gli domandano: «Ma perché non ti decidi? Dove stai meglio?» E lui risponde: «En route». Ecco, questa storia racconta anche la mia inquietudine. Penso che Helsinki sia una città con più stelle del necessario. Con il cielo più scuro dell’acqua e un freddo che dovrebbe intimorire, invece purifica. Insisto a far domande in giro, ma nessuno coglie queste differenze che sento. Non so se è la mancanza di immaginazione che mi spinge a viaggiare e a sforzarmi di non essere banale o la voglia di voler contraddire Pascal come una vecchia poesia di Elizabeth Bishop. Oppure l’illusione di poter guarire stando in movimento. Da qui il mondo non mi appare né vasto né limpido, ma solo una moneta consumata, insopportabile come una bottiglia rotta sotto a un piede.

Helsinki, la luce breve e il freddo che purificaultima modifica: 2008-01-21T18:10:00+01:00da sagittario290