L’INTERVISTA

Edizione CIRC_SU1

13/10/2007

L’INTERVISTA

LEANDRO DEL GAUDIO Chiede una riflessione interna alla magistratura sul rapporto tra sicurezza e giustizia, definisce «assurdo e sconsiderato» lo sconto di pena assicurato dal patteggiamento in appello. Poi punta a un migliore coordinamento delle («poche») risorse in campo, partendo dai grandi assenti nella lotta per la sicurezza, gli agenti di polizia municipale. È un Paolo Mancuso a tutto campo, che con il «Mattino» fa un ragionamento ad alta voce sull’escalation criminale degli ultimi giorni: una donna ha perso un occhio dopo una rapina in un supermercato a Giugliano, l’omicidio di un tabaccaio a Sant’Antimo, due anziani massacrati di botte ad Afragola e un’emergenza camorra che riesplode con due morti ammazzati al Rione Traiano. Cinquantotto anni, ex vice della Direzione dell’amministrazione penitenziaria (ai tempi di Giancarlo Caselli), un passato come procuratore anticamorra, Mancuso oggi dirige la sezione criminalità ordinaria e quella contro i crimini finanziari. Presidente, da Roma arriva la notizia dei 250 poliziotti in pensione, quelli del piano Amato. Siamo alla beffa? «La situazione delle forze dell’ordine in campo contro la delinquenza è drammatica. Siamo ancora in attesa dei nuovi innesti». Oggi, dopo l’intervento del ministro Amato scopriamo che i rinforzi non sono arrivati. «Noi non scopriamo niente di nuovo. È uno scenario che in Procura verifichiamo tutti i giorni. Le risorse diminuiscono e non sono mai aumentate». Un anno dopo il piano Napoli qual è lo scenario? «In città c’è una diminuzione di rapine e episodi cosiddetti predatori. In provincia la situazione è, invece, peggiorata: aumentano le aggressioni, c’è un problema di quantità e di qualità dei crimini consumati. C’è un osmosi tra centro e periferia, quasi un sistema di vasi comunicanti. Così, gli sforzi fatti per migliorare la sicurezza al centro hanno lasciato scoperto l’hinterland. Non possiamo fermarci a questo punto, perché la sicurezza di ottocentomila napoletani rischia di ripercuotersi sulle condizioni di vita di tre milioni di cittadini dei comuni della provincia». Oggi il «Mattino» pubblica il caso del signor Bianco di Afragola, arrestato dopo undici condanne per rapine, scippi, armi e ricettazione. Qual è il suo commento? «Guardi, lo dico anche a me stesso. Dobbiamo rivedere alcuni punti fermi. Ritengo utile un dibattito interno alla magistratura (anche all’interno della stessa Magistratura democratica) sul rapporto tra giustizia e sicurezza e sull’efficacia del processo penale». Md è la sua corrente, da sempre attestata su posizioni di garantismo nei confronti dei reati da strada. Cos’è la sua, una svolta? «Ma no! Chiedo solo di ripensare un atteggiamento a volte di eccessivo giustificazionismo. Bisogna che il grande valore della discrezionalità nella determinazione della pena sia governato in piena consapevolezza della sua ”politicità” . A volte, leggo una condanna di un rapinatore lunga sei pagine che si conclude con la formula di rito, ”pena equa stimasi quella di un anno e sei mesi”. È questo il punto: ripensare la soggettività della pena, e quindi anche il sistema delle attenuanti generiche». A Napoli, dunque, i giudici sono troppo buoni? «Mi limito a rispondere che quando i nostri rapinatori vengono condannati ”in trasferta”, incassano le condanne che non sono mai inferiori ai cinque-sei anni, anche in rito abbreviato. Non dico che questa sia la soluzione: prendo atto che qui è diverso. Come capo della sezione ho detto no alle direttissime, per celebrare un’udienza dinanzi a un gip, dove possiamo presentare il frutto di un’indagine più articolata e completa a carico dell’imputato. La risposta è stata molto positiva: ora il problema si ripresenta però in appello». A che cosa si riferisce? «Abbiamo notato che con una precisa strategia la difesa spesso ormai evita il confronto in primo grado per patteggiare poi in appello. Una cosa che ritengo assurda. Indagini costose e complesse, dibattimenti defatiganti, esposizione di testi e parti offese che vengono risolte con una sola udienza in appello. Ci si mette d’accordo e si risolve tutto con uno sconto e una condanna a prezzi stracciati. Anche qui chiedo ai colleghi di riflettere: i costi sociali ed economici di un patteggiamento chi li paga?». Ne avete discusso nelle sedi istituzionali? «Anche in commissione Antimafia. Il riferimento era ai concordati in appello che trasformano gli ergastoli in pene temporanee. Lo ripeto è una follia». Com’è cambiato il crimine nell’ultimo anno? «C’è un surplus di violenza. Violenza ingiustificata. Per scippare un Rolex non è necessario trascinare un uomo a terra per tre metri, eppure è quanto avviene sotto i nostri occhi. Per rapinare una persona disarmata non è necessario ucciderla. Anche l’età dei malviventi poi si è abbassata: ci sono più minorenni che partecipano a scippi e rapine». In attesa dei rinforzi del piano Amato, qual è la risposta del suo pool contro la criminalità predatoria? «Occorre un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Penso agli enti locali e alla gestione degli agenti di polizia municipale. Se lunedì mattina, nella piazza principale di Sant’Antimo ci fosse stato almeno un agente di polizia municipale, ci sarebbe stato l’omicidio del tabaccaio? Io credo di no. In alcune parti della provincia c’è quasi la certezza che se rapini una banca compi chilometri senza incontrare una pattuglia. Questo è il dato: le rapine in banca a Napoli diminuiscono perché le strade sono presidiate. Lungo corso Umberto o via Marina la possibilità di imbattersi in una pattuglia è alta. Non accade la stessa cosa in piazza Italia a Marano o in una strada secondaria di Cardito». Ci sono altri rimedi? «La sicurezza è un fatto corale e dovrebbe riguardare tutti: anche le banche o le associazioni di commercianti. Le banche, ad esempio, dovrebbero investire sulla manutenzione di telecamere e di metal detector, troppe volte obsolete e fuori uso. Quanto ai VIGILANTES, sono troppo facilmente aggredibili. C’è il caso di un addetto alla security che ha consegnato la pistola, per altro conservata nel cassetto, ad un rapinatore armato di un taglierino. Non vogliamo eroi, ma almeno che tutti si assumano un po’ di responsabilità. La sicurezza è un problema di tutti». Da padre se la sentirebbe di ripeterlo ai suoi figli? «A mio figlio hanno rapinato in corso Vittorio Emanuele la moto nuova di zecca. Lui era inviperito, io e mia moglie gli abbiamo spiegato che non serve fare l’eroe. Qui occorre un modello di partecipazione responsabile alla sicurezza, che è un bene comune, che consiste di collaborare con le forze di polizia o nel rispettare anche le regole più elementari».

L’INTERVISTAultima modifica: 2007-10-14T12:45:00+02:00da sagittario290