Rossin, il postino che ha incastrato Tonello

Domenica, 8 Luglio 2007

Rossin, il postino che ha incastrato Tonello

La sua confessione sul trasferimento delle armi da Milano a Padova è alla base degli ultimi due arresti

Padova

NOSTRA REDAZIONE

La sera del 14 febbraio, appena sente il tonfo delle sbarre che si chiudono alle sue spalle, Valentino Rossin alle guardie del carcere di Bollate chiede subito di poter parlare con la Digos di Padova. Ha paura di passare il resto della sua vita, o almeno buona parte di essa, in una cella. Un lavoro ce l’ha, fa il postino in un ufficio di Abano Terme, come pure ha una casa e una madre che piange per lui. Valentino Rossin pensa che non è giusto rovinarsi a 36 anni per un ideale che lui non condivide più come un tempo. Il centro popolare Gramigna ha cominciato a frequentarlo nel 1990, ma dal 1997, dopo la morte in un incidente stradale di Nicola Pasian, personaggio di punta del movimento e al quale era molto legato, se n’era allontanato. A “recuperarlo”, nel 2001, era stato Davide Bortolato, pure lui arrestato lo scorso inverno, che lo aveva convinto a diventare il “custode” delle armi. Ma la passione politica non è quella di un tempo e il postino si sente evidentemente tirato dentro una storia più grande di lui. Forse è per questo che appena finisce in carcere decide di collaborare per alleggerire la sua posizione che è alquanto pesante. Durante la perquisizione del 12 febbraio, infatti, nella sua abitazione di Bovolenta vengono trovati numerosi proiettili, tutto l’occorrente per preparare esplosivo e anche una pistola Taurus calibro 38, rubata nel 1989 a una guardia giurata in provincia di Venezia. Nella tasca sinistra di un giubbotto delle Poste c’è un elenco di targhe d’auto, in camera da letto ci sono due giacche della Guardia di Finanza. Rossin sa che nel casolare vicino a casa sua ci sono un bidone e un tubo pieni di altre armi, vorrebbe essere lui a indicare il punto esatto dell’imbosco ma non fa in tempo perché sono gli investigatori della Digos, incrociando i numerosi dati raccolti tra appostamenti e intercettazioni, a scoprire il nascondiglio. Il postino non cambia però idea. Vuole “troncare con il passato”, come spiega il gip Salvini nell’ordinanza, e comincia, seppur faticosamente, a confessarsi davanti al pubblico ministero Ilda Boccassini.

«Io mi ricordo che il Bortolato mi ha chiesto la disponibilità della mia auto per andare a Milano a prendere queste armi – racconta il postino il 10 maggio scorso al sostituto procuratore milanese – e avevamo concordato come doveva succedere questa cosa, cioè lui mi aspettava al mio posto di lavoro alla mattina quando io prestavo il turno di servizio, lui parcheggiava la macchina lì, la sua auto…». «La Skoda?», chiede il pm Boccassini: «La Skoda, quella verde insomma, la Skoda verde. E praticamente se eventualmente non riusciva ad arrivare in tempo per fare il passaggio prima del turno di lavoro, che quasi sicuramente non ce la faceva, dovevamo trovarci al parcheggio di Arzercavalli». Con la divisa da postino, Rossin attende più di un’ora fin quando, sulla sua Kangoo, arrivano Bortolato e Massimiliano Toschi con le armi: «Esattamente. (…)Il Kalashnikov era messo davanti, sul vano motore diciamo così, quello si poteva notare insomma guardando bene; mentre le altre che erano poste sulla portiera di destra, mi ricordo, posteriore destra, sul vano insomma del posteriore destro, quelle lì non me la hanno fatte vedere là, mi hanno detto “guarda devi togliere questi tappi e…”, insomma… (…) Il Kalashnikov era nel davanti, la Skorpion era nascosta sulla mia macchina, sullo sportello posteriore destro, manca un fermo che si è rotto nell’operazione. (…) L’Uzi era nascosto sotto il sedile posteriore. Ho preso la macchina e sono tornato a casa, dove ho provveduto a prendere queste armi dalla mia macchina e le ho messe nel garage, legnaia».

Valentino Rossin svela anche quando è arrivato a Padova il primo carico di armi, nel 2001: «Mi è stato chiesto di fare la staffetta in questa operazione, io avevo la mia Renault 4 bianca al tempo e dovevo fare la staffetta mettendomi davanti». «Chi gliel’ha chiesto?», domanda il pm Boccassini: «Il Bortolato». Poi il sostituto procuratore vuole notizie sul luogo dell’incontro: «Basso Isonzo (alle porte del centro, ndr), esatto. Allora io dovevo aspettare nei pressi di questo bar con la macchina, quando vedevo sopraggiungere dietro di me l’auto dei due, in questo caso Zebb (il soprannome di Andrea Tonello, arrestato l’altra notte, ndr). In questo caso la macchina era di Andrea Tonello, Fiat modello station wagon, bianca, lunga cioè… Mi ricordo che avevamo due walkie talkie, com’è che si chiamano?». Ma l’incontro poi avviene da un’altra parte: «Piazzetta Toselli, sì. Ci siamo trovati da un’altra parte tutti e tre, in quel momento là ho visto che c’era il Zebb, che c’era il Tonello, però il Bortolo (Bortolato, ndr) non mi aveva parlato prima che c’era…».

Rossin svela poi che nel 2006 Bortolato gli aveva dato una serie di targhe che potevano appartenere ad auto civetta della polizia e dei carabinieri e tutto il necessario per preparare congegni esplosivi, polvere di alluminio, due contenitori di nitrato di ammonio e i rilevatori dell’acidità. Non solo, Rossin racconta al pm Boccassini che nel 2000 era stato progettato l’assalto a un portavalori che doveva consegnare valuta estera nell’ufficio postale di Abano dove lavorava, e che assieme ad un altro degli arrestati nel blitz del 12 febbraio, Massimiliano Toschi, si era recato alla fiera di Rovigo per acquistare un metal detector. Una confessione, quella di Rossin, sofferta e arrivata passo dopo passo, “una garanzia e una conferma dell’attendibilità”, ha scritto il gip Salvini.

Egle Luca Cocco

Rossin, il postino che ha incastrato Tonelloultima modifica: 2007-07-09T11:50:00+02:00da sagittario290