Benvenuti all’inferno del pronto soccorso

Varese – Una giornata all’interno del reparto più caldo del nuovo ospedale

Benvenuti all’inferno del pronto soccorso

L’esercito di malati è pronto a sbarcare al pronto soccorso. A fronteggiare la prima ondata c’è una sola vedetta vestita di giallo. È l’infermiere addetto al triage, ovvero colui che dovrebbe dare le prime indicazioni alla gente, rassicurarla, condurla nel reparto. Una piccola diga per contenere l’enorme ansia della gente, che il più delle volte  tracima facendo sbottare anche i volontari.
La sala d’attesa è stracolma. Una tenda verde, precaria e svolazzante, lascia intravedere le urgenze che arrivano in ambulanza. I dati vengono raccolti dietro lo stesso bancone a cui la gente si rivolge appena entrata.

 

Una signora si avvicina all’accoglienza dicendo di avere male alla gamba. «Il dolore le si irradia lungo l’arto?» le chiede nervosamente l’infermiera del triage.  «No» risponde la donna. «Bene, allora puo’ aspettare». «Quanto?». «Fino a quando ha pazienza signora. Al  massimo va a casa e torna domani. Guardi quanta gente». Non tutti i dolori hanno il segno dell’emergenza.
Davanti alla porta d’ingresso del pronto soccorso c’è una guardia giurata, armata di tutto punto. È come la guardia imperiale, ultimo baluardo prima dell’agognato incontro con il personale medico. Quando si conquista la chiamata e si arriva in astanteria la visione è impressionante, degna di un moderno lazzaretto. Dodici lettighe posizionate in un atrio. Pazienti con flebo e medicamenti vari, distesi in attesa, spesso vestiti a metà, alla vista di tutti. Una situazione che dovrebbe essere temporanea, invece ci sono persone che lì ci stanno da giorni. Le borse per terra, senza un armadietto, senza privacy, senza quella dignità che un malato merita. Luci, voci a volte grida. Dormire è un’impresa. Si mangia tra i lamenti e la gente che vomita. Non c’è lo spazio necessario e allora c’è chi mangia in piedi. 
La signora del letto numero tre ha il potassio a 6.7. La comunicazione viene annunciata a tutti i presenti. Un uomo, uno straniero, si aggira con un pappagallo pieno di pipì dribblando la gente e versando il contenuto in una tanica a fianco del suo letto. Due operai trapanano il soffitto a pochi metri da un paziente che dorme. Polvere e rumore in un luogo dove ci dovrebbe essere silenzio e igiene.

«Lo so, sua madre dovrebbe essere ricoverata in reparto, ma non ci sono posti» dice sconsolata  una dottoressa.  Medici e infermieri si danno da fare, ma sono sommersi dalle richieste. La gente quando ha a che fare con la salute ha bisogno di rassicurazioni e di  attenzione. Invece al pronto soccorso si respira tensione, stanchezza, insofferenza  e soprattutto un senso di inadeguatezza.

Quello di Circolo è un ospedale nuovo, un’opera segno dell’eccellenza lombarda in campo sanitario. Eppure lì tutto sa di precario, come la stessa vita di quei pazienti che aspettano in condizioni inaccettabili. I cartelli sono scritti su carta, infilati in una busta di plastica e attaccati con lo scotch alle porte. Un uomo distinto, capelli bianchi e un aspetto che ricorda l’Avvocato Agnelli, vuole farsi la barba al bagno. Purtroppo nei bagni nuovi di zecca mancano gli specchi. Guarda sconsolato la moglie con il rasoio in mano e ci rinuncia. E si rimette a letto, vestito perché non c’è un luogo dove cambiarsi.
«Di chi è questa flebo?» urla un’infermiera. «Il signore se ne è andato» gli risponde un’altra. Forse era stanco di aspettare che qualcuno gliela attaccasse.

Benvenuti all’inferno del pronto soccorso.

Martedi 12 Giugno 2007
Michele Mancino
michele@varesenews.it

Benvenuti all’inferno del pronto soccorsoultima modifica: 2007-06-13T12:10:00+02:00da sagittario290