Simone, fratello di Vanessa e vigilante: «Ambulanti e nomadi? Via dalle stazioni»

CRONACA DI ROMA pag. 35

Domenica 29 Aprile 2007

Simone, fratello di Vanessa e vigilante: «Ambulanti e nomadi? Via dalle stazioni»

Chiedo più ordine e disciplina, ma anche più personale di sorveglianza
E voglio giustizia: il massimo della pena per questa morte da film horror

di RAFFAELLA TROILI

«Certe presenze nella metro vanno prese con più serietà. Ci vuole più personale, le telecamere non bastano. E vanno mandati via tutti quei venditori ambulanti, barboni e nomadi vari, stranieri che affollano le stazioni. Chiedo più ordine e disciplina. Una sorveglianza maggiore». E’ Simone Russo, 26 anni, che parla. Vigilante alla Stazione Tiburtina. Fratello di Vanessa, soprattutto.
«Voglio solo giustizia». Lo ripete mentre gli amici lo abbracciano, lo proteggono all’entrata dell’appartamento di Fidene dove vive con la sua famiglia. «Voglio il massimo della pena per chi ha ucciso mia sorella». Dà per scontato, pretende, che le due donne vengano arrestate. «Uccidere una ragazza così, forse avrà reagito a un tentato scippo, è una morte da film horror».
E’ stato lui l’ultimo a vederla, della famiglia. «E’ passata 20 minuti prima, alla Stazione Tiburtina, dove lavoro come vigilante privato. Ha mangiato un pacchetto di patatine e poi è andata via. Le ho chiesto di rimanere ancora qualche minuto, ma lei ha voluto approfittare della bella giornata di sole per fare due passi a piedi dalla Stazione Termini al posto di lavoro in via dei Serpenti. Forse se fosse rimasta con me ancora un po’ a quest’ora era ancora viva. Invece l’ho salutata come tutti i giorni, chi pensava a una tragedia simile, quelle sono macellaie…». La sorellina Francesca, 9 anni, ancora non sa della morte di Vanessa, «le abbiamo detto che sta subendo un’operazione, piano piano le diremo la verità».
Vanessa e Simone, tre anni di differenza, sono cresciuti insieme. «Era una ragazza semplice, solare – racconta in compagnia degli amici che gli si sono stretti intorno – studiava e dava una mano a casa, lavorando». Negli studi era bravissima, lo dicono tutti. «Le piaceva molto l’inglese, l’aveva studiato con passione, mi aveva aiutato molto a capirlo». Amava gli animali, adorava i gatti, «ma soprattutto – aggiunge un amico di Simone – amava aiutare il prossimo».
Ieri Simone è andato dalla sorella, in ospedale. «Era tutta coperta e io ricordavo i suoi bellissimi occhi, sperando che si riaprissero. Poi la baciavo, la baciavo e l’accarezzavo». I familiari sono tutti sconvolti. I nonni, gli zii, i cugini, sono tutti assieme, stretti attorno al padre e la madre di Vanessa. Una famiglia unita e bella, che sta vivendo questo dolore, atroce, con molta dignità. Anche il quartiere si pone domande. «Non è possibile? Non si può morire così. Queste cose non devono accadere, e i responsabili devono essere presi». Squilla il telefono di Simone, un amico lo avverte: «Domani in Tribuna Tevere ci sarà uno striscione di 30 metri, in ricordo di tua sorella Vanessa…».

Che cosa poteva fare chi ha assistito al delitto di Vanessa?

Risponde il magistrato Antonio Marini, già pubblico ministero al processo Moro e titolare delle indagini sugli anarcoinsurrezionalisti
Davanti ad una aggressione efferata come quella che si è verificata nella metropolitana di Roma, chiunque poteva intervenire per bloccare le due donne responsabili dell’omicidio. Potevano farlo i vigilantes della stessa metropolitana, che in situazioni del genere acquisiscono i poteri della polizia giudiziaria, e potevano farlo i passanti che hanno assistito alla scena. Il codice di procecedura penale, all’articolo 383, prevede infatti i casi in cui è concessa la facoltà di arresto ai privati cittadini. Dice il codice, che “Nei casi previsti dall`articolo 380 ogni persona è autorizzata a procedere all’arresto in flagranza, quando si tratta di delitti perseguibili di ufficio. La persona che ha eseguito l`arresto deve senza ritardo consegnare l`arrestato e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria la quale redige il verbale della consegna e ne rilascia copia”. E certamente, tra i casi previsti dall’articolo 380 sull’arresto in flagranza di reato, c’è quello di lesioni gravissime, come potevano sembrare inizialmente quelle subite dalla giovane vittima, e l’omicidio

«Troppa indifferenza tra i passeggeri»

di MAURO EVANGELISTI

Una ragazza è stata uccisa in pieno giorno, nella stazione della linea B di Termini, inquadrata da decine di telecamere della vigilanza, circondata da altri centinaia di passeggeri. «Troppa indifferenza, sarebbe andata diversamente se la gente avesse collaborato…», sussurra il responsabile della vigilanza privata. Le due ragazze che hanno ucciso Vanessa Russo sono fuggite. Ora a Met.Ro. e al Campidoglio si interrogano sulla sicurezza e sulla possibilità di apportare miglioramenti. Ricordando che ogni giorno vengono trasportati 800 mila passeggeri, una città grande come Torino. «Abbiamo speso 19 milioni di euro per migliorare la videosorveglianza, ora ci sono 1.200 telecamere. Ma servirebbe più coordinamento con polizia e carabinieri», ricorda il presidente di Met.Ro., Stefano Bianchi. «I casi di borseggio sono rari», dice Gianluca Lucisano, responsabile della sicurezza interna. «Il sistema è all’avanguardia ed efficiente», aggiunge il vicecapo di gabinetto del Campidoglio, Luca Odevaine. «Nella metropolitana di Roma la sicurezza è uno degli aspetti più curati», chiude il cerchio l’assessore Mauro Calamante.
Tutto vero, la metropolitana di Roma non è Baghdad. Ma bisogna parlare anche con i passeggeri: a torto o a ragione, “percepiscono” una sicurezza limitata, raccontano che devono guardarsi da bande di borseggiatori, specialmente minorenni, che giocano a nascondino con la vigilanza. Una guardia privata: «E’ una lotta quotidiana, in teoria non li puoi neppure fermare, se non li prendi in flagranza. Si lavora sempre sul filo del rasoio, rischi la denuncia. Entravamo nei vagoni dove c’erano i borseggiatori dicendo ai passeggeri di fare attenzione perchè quelle ragazzine erano lì per rubare portafogli: un avvocato ha minacciato di denunciarmi per diffamazione». La metropolitana di Roma è lo scenario del delitto di Vanessa Russo: una ragazza di 23 anni, su un treno della linea B, viene avvicinata a Termini da due giovani, forse si difende da un borseggio. Quando scende le due ragazze la gettano a terra, la colpiscono a un occhio con un ombrello. Muore. Le due ragazze, dopo tutto questo, malgrado le telecamere e i 20 milioni di euro spesi per la sicurezza, corrono via e escono indisturbate. Omicidio di fronte a migliaia di persone, nessuno le ha fermate. Gli uomini della vigilanza hanno fatto la cosa più importante: hanno soccorso la ragazza accasciata a terra, hanno cercato un medico. Giovanni Mariani, responsabile degli istituti di vigilanza (sono quattro riuniti in una Ati, associazione temporanea d’impresa) che gestiscono la sicurezza della metro, ormai non dorme più per questa storia che ha scosso tutti. Ripete una verità fastidiosa: «Perché non abbiamo fermato quelle due donne? Perché se la gente non ti aiuta, non ti indica i colpevoli, non ti aiuta a fermarle, poi è difficile scovarle». Sono unghie sulla lavagna di una città in fondo più sicura e civile della media delle metropoli, ma non esente da contraddizioni. Il vicesindaco Maria Pia Garavaglia: «Perché nessuno è intervenuto? Mi chiedo se questo evento avrebbe potuto avere un esito meno luttuoso se le persone che erano lì accanto fossero intervenute con decisione contro le autrici della violenza». Il quadro va descritto tutto: nessuno ha fermato le ragazze, ma diverse persone hanno avuto il coraggio di testimoniare, una dottoressa è accorsa per aiutare. Però. Però dice ancora Mariani: «Se ci fosse stata meno indifferenza a quest’ora le due colpevoli sarebbero state consegnate all’autorità giudiziaria». Altri dati: nel 2006 nella metro A la vigilanza ha svolto 17.392 contro i suonatori, 11.198 contro gli ambulanti, 12.048 contro i borseggiatori; nella B rispettivamente 7.458, 3.622, 4.529.
Ieri a decine sono arrivate mail e lettere al Messaggero. Tutte denunciavano l’insicurezza che si avverte in alcune stazioni, molti puntavano il dito contro nomadi e stranieri. C’è ancora molto da capire, però di fronte all’allarme sicurezza Stefano Bianchi ha voluto porre alcuni punti fermi: «Nell’ultimo anno abbiamo aumentato la quantità ore-uomo della vigilanza all’interno della metro con un incremento del 46% rispetto all’anno precedente e con un costo che ha toccato i 20 milioni di euro annui, la seconda voce di spesa, dopo il personale, nel bilancio di Met.Ro». Le telecamere? A cosa servono, visto che non stanno evitando suicidi, omicidi e neppure borseggi? Sono 1.200, controllate grazie a 235 monitor, in realtà hanno più una finalità antiterrorismo. E soprattutto hanno un ruolo importante per le indagini, perché le registrazioni ti consentono di rintracciare gli autori di reati. Quanti sono gli uomini della vigilanza privata? 450, distribuiti su tre turni, comprese anche le ferrovie concesse, con più attenzione alle stazioni ritenute più importanti. L’altro giorno a Termini erano una decina. Vincenzo del Vicario, leader del sindacato della vigilanza privata Savip: «Servirebbero più uomini, servirebbe un potenziamento». Omero Cameracanna, dello stesso sindacato: «Onestamente, con gli ultimi investimenti, la sicurezza è migliorata, le nuove telecamere sono utili. Ma resta il problema difficile da fare comprendere alle gente: noi possiamo intervenire solo in flagranza di reato. Ogni volta che fermiamo una borseggiatrice lavoriamo sul filo del rasoio, ci mostrano il biglietto e non possiamo più fare nulla». Luigi Scardaone, segretario della Uil di Roma e Lazio: «Il presidente di Met.Ro. ha ragione, la vigilanza privata non può fermare un sospetto, non sono agenti di pubblica sicurezza. Da sempre diciamo che bisognerebbe aumentare i poteri della vigilanza privata».
mauro.evangelisti@ilmessagger o.it

Simone, fratello di Vanessa e vigilante: «Ambulanti e nomadi? Via dalle stazioni»ultima modifica: 2007-04-30T16:50:00+02:00da sagittario290

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