Parlano i due vigilantes sopravvissuti all’assalto mortale al portavalori

21 novembre 2006

Lodi

Feriti nello scontro frontale causato dai malviventi chiedono che polizia e carabinieri scortino più spesso i blindati

«Il Lodigiano non è più un'isola di tranquillità»

«Ricordo solo due grandi fari che ci venivano incontro, poi ho perso conoscenza e a un certo punto ho sentito un grande odore di bruciato, temevo di soffocare. Poi mi sono ritrovato in ospedale, in stato confusionale». Antonio Palmisciano, 46 anni, di Caselle Lurani, capo scorta del blindato dell'Ivri che alle 20 del 2 novembre scorso è stato assaltato sulla 235 a Pieve Fissiraga da un commando omicida che puntava al milione di euro contenuto nella cassaforte, dall'ospedale di Sant'Angelo Lodigiano racconta l'incubo cominciato in una serata come tante, quando da Milano la sua squadra stava rientrando alla "sala conta" dell'Ivri di Lodi con le banconote ritirate dal caveau centrale dell'Ivri di Milano. Sedeva nel vano posteriore del furgone, e a pochi centimetri da lui, al posto di guida, c'era Enrico Morandi, 50 anni, di Lodi, morto in ospedale dopo tre disperate operazioni. A ucciderlo l'impatto con il volante, che gli ha devastato gli organi interni.«Se siamo usciti vivi da quel camion che ci si è lanciato contro, è proprio per una questione di millimetri – aggiunge Elio Entronchi, 35 anni, di Lodi, che si trovava sul sedile anteriore destro e, forse per l'apertura della portiera dovuta allo scontro frontale, si è trovato sbalzato sulla strada. «Forse quella è stata la mia fortuna – riflette -. Se fossi rimasto nell'abitacolo, le cose sarebbero potute andare diversamente». Anche lui non ricorda niente del blitz dei rapinatori, della sparatoria con la polizia, con almeno 130 colpi di kalashnikov sparati dai malviventi incuranti delle decine di automobilisti fermi sulla provinciale 235 bloccata dall'assalto. Solo rumori e grida confuse. Nella confusione è sparita una delle pistole dei vigilantes feriti, forse portata via da uno dei 7 o 8 rapinatori, e le indagini finora hanno portato al ritrovamento di un batuffolo di cotone impregnato di sangue, in un cestino nei pressi del cimitero di Pieve Fissiraga. Si è inoltre accertato che il camion quattro assi scagliato contro il furgone era stato rubato a Legnano.Da ieri per i due sopravvissuti è cominciata la riabilitazione, nel reparto Monsignor Gaboardi dell'ospedale Delmati. Palmisciano è stato curato a Lodi, dove gli è stata asportata la milza, Entronchi a Codogno. Ora devono fare i conti con le fratture: «Per tornare in perfetta forma, o quasi, ci vorrà un anno – prevede Palmisciano -, anche se l'umore è buono e l'assistenza in ospedale è ottima, e pure l'Ivri ci è sempre stata vicina. Credo sia merito del nostro amministratore delegato Costarpa e delle autorità lodigiane se abbiamo potuto essere ricoverati per la riabilitazione assieme in una stanza a due. Del resto noi, con Morandi e una collega eravamo una squadra da almeno tre anni. Sapevamo alla perfezione come muoverci, bastava uno sguardo, e sapevamo benissimo i rischi che si corrono in questi servizi». L'ultimo omicidio per rapina, nel Lodigiano, era stato quello di Pietro Mondori, il tabaccaio di Turano freddato con un colpo di pistola il 21 gennaio 2001, e prima ancora, negli anni Ottanta, si ricorda l'assassinio dell'orefice Malusardi in piazza Broletto. «Quello che ci è successo segna per noi una svolta – aggiunge Entronchi -: il Lodigiano non è più un'isola felice. E al giorno d'oggi spostarsi per mettere a segno un colpo non è difficile. Gli orari di questo tipo di trasporti variano, è difficile prevederli. Non sappiamo se siamo stati seguiti, ma era buio, e di notte i fari sono tutti uguali, e poi con i cellulari i malviventi si possono tenere facilmente in contatto».I due vigilantes però di una cosa sono sicuri: «Questo commando, specializzato fin che si vuole, almeno un errore deve averlo fatto». «Probabilmente non sono riusciti a mettere le mani sul contenuto della cassaforte perché hanno perso tempo nell'aprire le lamiere con il "flessibile", attaccando un punto più resistente del previsto – aggiunge Entronchi -, ma erano prontissimi anche all'arrivo delle forze dell'ordine».Palmisciano, che è rappresentante sindacale nell'Ivri, riflette anche sulla sicurezza: «Per quanto riguarda il mio equipaggio, abbiamo sempre ottenuto il rispetto delle norme, siamo sempre stati in tre sui blindati. Ma bisogna studiare nuovi sistemi di sicurezza. Abbiamo le radio, il monitoraggio satellitare, le forze dell'ordine raccolgono le nostre segnalazioni di targhe e situazioni sospette. Ma i politici, che non possono non sapere dei continui assalti ai blindati, devono fare qualcosa: ad esempio fare sì che le forze dell'ordine siano messe in condizione di scortarci più frequentemente. Del resto, il contante circolerà sempre. E non do tutti i torti a chi non si fida dei bancomat: il mio l'hanno clonato in settembre a Sant'Angelo, mi sono ritrovato con il conto a zero senza saperlo e sto ancora oggi aspettando il rimborso da Bancoposta».I due sopravvissuti non hanno ancora deciso se torneranno mai a trasportare milioni su un blindato: «Dovremo pensarci quando potremo farlo – conclude Entronchi -. Forse i primi giorni sarà difficile, poi ci faremo il callo. Potremo forse superare la paura, che prima, pur stando attentissimi a ogni particolare, non era così forte. Dimenticare, però, non si può. Soprattutto per chi non c'è più».

Car. Cat.

Parlano i due vigilantes sopravvissuti all’assalto mortale al portavaloriultima modifica: 2006-11-22T12:50:43+01:00da sagittario290