Non appaltiamo ai volontari ordine pubblico e sicurezza

Sicurezza

(10 ottobre 2019)

Non appaltiamo ai volontari ordine pubblico e sicurezza

di Piero Innocenti

La tutela della sicurezza pubblica nelle nostre città continua ad essere un tema di particolare interesse per molti cittadini che quasi quotidianamente apprendono o sono anche testimoni di gravi e meno gravi episodi di delinquenza. E non sono per nulla tranquillizzanti le dichiarazioni (i delitti in calo) rese alla stampa qua e là da taluni esponenti politici ma anche da autorità di pubblica sicurezza che pensano di poter risolvere o anche solo attenuare i problemi della sicurezza pubblica incentivando la nascita dei cosiddetti gruppi di vicinato costituiti o che stanno nascendo in diverse zone del Paese.

Iniziative, peraltro, che sembrano in contrasto anche con quanto statuisce l’art. 1 del TULPS, Testo Unico delle Leggi di Pubblica sicurezza secondo cui “l’autorità di pubblica sicurezza veglia al mantenimento dell’ordine pubblico, alla sicurezza dei cittadini, alla loro incolumità e alla tutela della proprietà..”, precisando, nel quarto comma, che tali funzioni sono esercitate dal prefetto e questore quali autorità provinciali e dal dirigente dell’ufficio di ps del luogo o, in mancanza, dal sindaco, quale autorità locale di ps. Non era lontanamente immaginabile al legislatore del tempo anche solo ipotizzare un “concorso” in tali funzioni di cittadini organizzati che pur non sostituendosi alle forze di polizia (come si sottolinea spesso nelle occasioni di riconoscimenti ufficiali di tali gruppi), in effetti, svolgendo attività di controllo del territorio urbano che si concretizza in compiti di osservazione, annotazione e segnalazione di persone e veicoli ritenuti ”sospetti” a referenti individuati nell’ambito del gruppo, viene a configurarsi come una funzione di polizia di prevenzione generale che spetta solo alle forze di polizia e a quelle locali.

Non può, allora, che destare perplessità questo fiorire di gruppi “whatsapp” ( anche spontanei, come in alcune località della Versilia), di gruppi di “contatto” per aumentare la “conoscenza”del territorio e la sicurezza (vedi alcuni Comuni in provincia di Empoli), di protocollo di intesa sui gruppi di “controllo” (vedi Avellino), di iniziative estemporanee che prevedono “ronde” con ex agenti della polizia di Stato e carabinieri in alcune zone a rischio (Milano). Non servono neanche le “benedizioni” prefettizie sulla “sorveglianza partecipata” (si usano le espressioni più fantasiose) che va avanti (Belluno) anche se una legge regionale in Veneto che dà sostegno al controllo di vicinato è stata bloccata dal Consiglio dei Ministri. Né si può pensare di risolvere i pur gravi episodi di spaccio di stupefacenti nelle città “ingaggiando un servizio di vigilanza privata” (un comitato di commercianti a Padova). L’Italia non può “colombianizzarsi” (vigilantes armati intorno alle case di Bogotà) né “messicanizzarsi” (gruppi di autodifesa cittadina in molti villaggi per difendersi dai malviventi).

E’ pur vero che in diverse situazioni urbane la paura della criminalità non dipende esclusivamente dai tassi di criminalità. Sul sentimento di insicurezza, come ho scritto in altre circostanze, incidono il degrado, gli atti di inciviltà, di arroganza, di aggressività anche solo verbale. L’abbandono di edifici e di parchi, la sporcizia e le scritte sui muri, i cassonetti stracolmi di spazzatura (e a Roma la situazione è fuori controllo), gli atti di vandalismo, i disturbi in genere, i cocci di bottiglie in strada, la prostituzione visibile, insomma il degrado urbano a cui si aggiungono la grave carenza dei servizi pubblici e la caduta dei valori di solidarietà, vengono interpretate come effetti di un’assenza delle istituzioni di controllo. Da tutto questo si genera uno stato di demoralizzazione diffuso che accentua l’insicurezza della gente e il distacco dalle istituzioni.

E’ lo Stato il garante verso i cittadini sulla materia dell’ordine pubblico e della sicurezza. E farsi garante vuol dire che il diritto alla sicurezza deve essere goduto in maniera identica su tutto il territorio nazionale, da tutte le comunità. Continuare ad attribuire anche soltanto alcune funzioni di questo delicatissimo compito della prevenzione generale ai cittadini organizzati in gruppi, potrebbe determinare seri problemi.

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