Un anno di proteste ad alta quota

Interni

14 agosto 2010

LA NOVITA’ DELLA CRISI

Un anno di proteste ad alta quota

20090815_ancr_03.jpgNon ci sono più i tetti di una volta. Non quelli dell’estate 2010, almeno, affollati da lavoratori che salivano a qualche decina di metri da terra per farsi vedere da tutti mentre protestavano contro chi voleva levargli il posto di lavoro. «La protesta sale sui tetti» titolavano i giornali per semplificare; in realtà ognuno saliva su quello che aveva a disposizione: gru, serbatoi, antenne, qualsiasi cosa fosse abbastanza alta da costringere i mezzi di comunicazione a parlarne. Era un anno fa. Sui tetti ormai ci salgono in pochi perché a un certo punto la protesta ad alta quota è diventata troppo frequente e così ha perso efficacia. Ma tra le “avanguardie” della manifestazione dall’alto, molte oggi possono dire di avere fatto bene a salire.

La scalata dei 12 metri del carro ponte, il 4 agosto 2009, per cinque operai della Innse è stato l’inizio della svolta. Sul carro ponte i cinque sono rimasti per otto giorni, finché non è arrivato il bresciano Attilio Camozzi – ex tornitore, ex iscritto alla Fiom, poi imprenditore, quindi, con un’azienda che oggi fa 300 milioni di fatturato, Cavaliere del Lavoro – che ha comprato la Innse e investito sul suo rilancio. Ci sta riuscendo, si dice: oggi nella fabbrica di via Rubattino lavorano 60 operai e solo 5 impiegati devono ancora uscire dalla cassa integrazione.

Le otto giornate di Milano hanno trovato presto gli imitatori. Già il 10 agosto alle porte di Roma sette operai della Calci idrate Marcellina salivano su un serbatoio a 37 metri di altezza per protestare contro un’ordinanza comunale che prevedeva lo sgombero dell’area della fabbrica. Anche stavolta la scalata è servita: il 14 agosto avevano potuto lasciare il serbatoio gli ultimi tre operai rimasti, perché un incontro alla Prefettura di Roma aveva avviato il percorso che avrebbe portato al salvataggio dell’impresa. La Cim, rimasta su quel terreno, oggi funziona e fino a pochi giorni fa era al Padiglione italiano all’Expo di Shangai per partecipare al progetto “Italia degli Innovatori” con la sua «pittura antismog».

Di nuovo agosto 2009. Nel giorno in cui scendevano gli irriducibili di Marcellina, la protesta dall’alto si spostava nel luogo più romano di Roma: il Colosseo. Sette guardie giurate della pubblica Ancr-Urbe erano salite fino al terzo anello dell’Anfiteatro Flavio perché non erano d’accordo con il contratto proposto loro dall’azienda privata che avrebbe rilevato l’attività. Il soprannome «gladiatori» era troppo elementare per non attaccarsi da subito a quelle sette guardie, che si sono prima ridotte a sei, poi a cinque e alla fine (dopo meno di una settimana) sono scese tutte. Non hanno però ottenuto molto, almeno per ora: chi non ha accettato il nuovo contratto ha ottenuto l’inserimento in mobilità e l’impegno del Comune ad aiutarlo a trovare un nuovo lavoro solo all’inizio di febbraio. È durata invece sei giorni, lo scorso dicembre, l’avventura sul tetto di 4 operai della Yamaha di Lesmo, per i quali il licenziamento si è trasformato in cassa integrazione.

Da dodici mesi anche i lavoratori della Maflow, l’azienda di componenti auto passata lo scorso giugno nel gruppo polacco Boryszew, erano in lotta. Lo scorso gennaio avevano anche occupato con una tenda il tetto dello stabilimento di Trezzano sul Naviglio (Milano) per sollecitare le istituzioni a intervenire dopo l’addio della Bmw, che aveva interrotto le commesse che da sole valevano l’80% della produzione dell’azienda milanese. Due giorni fa à stato siglato l’accordo per il riavvio delle attività e ieri l’assemblea l’ha accolto: 79 dipendenti saranno riammessi entro il 15 ottobre, poi altri quindici entro dicembre e ancora 15 a giugno, per un totale di 109 posti di lavoro. Dei 299 dipendenti dell’azienda, circa una trentina andranno in prepensionamento, mentre gli altri avranno diritto a due anni di cassa integrazione più mobilità da uno a tre anni.

Non sempre, tuttavia, chi ha protestato ad alta quota a terra ha trovato fortuna. Prendete i precari dell’Ispra, il centro statale per la protezione e la ricerca ambientale. Per 59 giorni, tra il 2009 e il 2010, una decina di loro aveva occupato il tetto dell’istituto per chiedere un piano di assorbimento dei lavoratori a termine (450 in tutto). Il programma è arrivato il 21 gennaio. Passati pochi mesi ci ha pensato la manovra a scombussolare tutto. L’Ispra è tra gli enti pubblici che, nel 2011, perderà il 50% dei finanziamenti statali rispetto ai livelli del 2009. Le assunzioni sono state bloccate fino al 2013. Il programma di assorbimento è saltato.

Dopo l’Ispra i tetti hanno smesso di fare molto rumore. Le proteste dall’alto alla piemontese Kss e alla Sirti di Benevento non hanno avuto la stessa dirompenza mediatica. E quelle vertenze non si sono risolte. Le sconfitte capitano. «Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso» recita lo slogan cheguevariano dei cassaintegrati della Vinyls, che dal 25 febbraio occupano l’ex carcere dell’Asinara e tengono un blog per non essere dimenticati. L’Eni vuole vendere l’azienda di Porto Torres ma non si trovano acquirenti. Le ultime notizie parlano di un gruppo croato interessato all’acquisto. Dall’Asinara, l’11 agosto, facevano sapere di avere visto le stelle cadenti (il 10 era la notte di San Lorenzo). Il desiderio per tutti era uguale: «riavere il lavoro».

Pietro Saccò

Un anno di proteste ad alta quotaultima modifica: 2010-08-15T11:15:00+02:00da sagittario290